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Giannetto del Gobbo, messer di Venigia,
dassenno si fece di cabale esperto
e tanto mirava i profeti che certo
sembravagli ognora dell'orbe 'l crepar.
Con far d'alchimista, con mente di folle
di Francia nomava di nostra Signora
il tetro Michele che pinse all'aurora
i prossimi giorni, dell'uomo 'l penar.
Ma l'aspra sventura dovè palesarsi
allorché più stolto di dotti toscani
credette che tosto dal cosmo i Gioviani
sarebber discesi la terra a conquir.
La nova ferale gli disser de' grulli
che gaudi in segreto cullavan la scienza.
Ma stavan costoro in preda a demenza
che manco Salviati li volle sentir.
Il primo de' tali, Arrigo d'Inerti,
che Giove diceva lanciava un bel fungo,
e poscia la muffa del foco e men lungo
dell'arsa cittade il crudo dolor.
Poi v'era un demente, scrittor di piccioni,
Nicola di Testa da Biancacolomba;
e disse che un lampo scavata la tomba
avrebbe pell'uomo in notte d'orror.
Al fin v'era tale Gualtier de' Franconi
che disse a Giannetto ch'istrani istrumenti
avean i Gioviani che verba silenti
dicean ai lontani di Giove guerrier.
Oh misero Gobbo!... Credette agli stolti,
e disse sì al doge coteste novelle
che tutta la corte 'l derise; e l'imbelle
Giannetto sclamava pauroso 'l mister.
Calava la Notte sul veneto molo.
Il povero Gianni riedeva a sua casa,
ma vide che reggia da bruti era invasa;
e quelli sembravan di Giove valor.
Ma eran pirati, ed erano Turchi,
che tosto qua'i lampi rapivan le pute
segrete del doge che l'ebbe già avute
in don dal sultano d'Egitto e di fuor.
Giannetto vedeva que' crudi mustacchi,
que' fulvi turbanti a forma di coni;
e in questi mirava gli aguzzi pennoni
di giovie lumache che a guerra volâr.
Gridando destava l'intera cittade,
desiava soccorso umano o divino.
Ma tosto 'l prelato crudel Belcamino
Giannetto voleva dassenno picchiar;
e mentre que' Turchi fuggivano indenni
gli disse furente con bieche parole
«Che dite di Giove!... Voi siete che 'l Sole
lo stolto che crede immobil sen stia;
fate ben ch'abiura vi colga sì tosto
e più non parliate di Giove gl'emiri
ché prima di Giove v'è 'l Sole coi giri,
'l dice la fede, l'ha detto Maria!».
Deriso e sfidato il pover del Gobbo
decise fuggire la santa laguna;
e sotto le forme di candida Luna
vêr candido monte si tosto scappò.
Con zoppo destriero, seguito da'i grulli
che cause sen stavan de' suoi aspri martiri,
percorse in un'ora tra mille sospiri
Milano e Piemonte; e il monte scalò.
Scalate le vette di quel d'anno mille
alpestre massiccio ritinto di spera,
con pallido volto, sembiante di cera,
vedeva venire que' crudi burlon;
e quando raggiunto ei fu da costoro
gli fu palesato d'ischerzo 'l sigillo.
Nessuno da Giove, nessuno lo squillo
ch'al mondo nunziava l'aperto burron.
Ma stanco e sfinito il miser Giannetto
ricadde alle rocce colpito a malore.
Di fine dell'orbe timor ruppe 'l core
del povero Gobbo che folle crepò.
Avete sentito l'istoria d'un pazzo,
da scienze e profeti dassenno ingannato;
ed or che l'istesso timor sta temprato
da voi, ricordate: niun mondo crollò. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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