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La Luna è cupa. Non tremano passi
pegli atri varchi de’ ciottoli aviti.
Piangon i bronzi la Notte e i sopiti
cigli sull’agili brezze del mar.
Dal molo inquieto de’ sigari l’aër
pinge le nebbie di barbari artigli,
di folli spettri, d’antichi perigli
volti le genti furiosi a turbar.
Su’i ghetti piomba la lugubre voce
d’infami lupi affamati d’angoscia,
vola la nottola, l’aquila e poscia
giace e s’infrange la requie che muor.
Lì, sotto ‘l ciglio, sul tremulo noce
il sabba mòve d’Inferno l’umor.
Fischi pel vento, sibili pe’i nembi,
tòni e tamburi sugli avidi corvi,
urla di gemiti pe’ i marmi torvi
che i teschi cullano d’oppio e martir.
Fulmini in guerra, grandine di foco,
crudeli turbini pegli aspri flutti.
Fischia irridente la forma de’ lutti,
balza la folgore in tetro sospir.
L’alveo del nembo da Satan cullato
batte le stelle sull’egra congrega
e poscia pinge beffardo di strega
sorriso amaro di languido duol.
Il gufo grida, rimpiange dannato
l’empia tenèbra che schiude ‘l suo vol.
Con core e viscere dell’alba preda
strette dal becco di sangue grondante
ammira ‘l corvo dal ramo tremante
la folle danza che evoca ‘l mal.
Gracchia!... La tomba si desta, si schiude,
s’empie di fochi, mostra avida l’ossa.
È ‘l sabba iniquo che d’orrida possa
chiama l’Inferno, di Satan lo stral.
È ‘l sogno orrendo che pingemi in sonno
gl’incubi infami che pallido affronto.
È della Notte l’estremo racconto
che schietto sprezza dell’alma ‘l posar.
Ora mi giaccio tremante e non ponno
le fresche aurore quel sogno mondar. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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