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E non ci avevano fatto dormire
le nostre lunghe conversazioni telefoniche
strette limitate ai nostri bicchieri sempre pieni di alcolici
e i baci dati sotto le insegne ai neon,
che ci rubavano pure gli scontrini
nelle nostre fughe notturne strane.
E ti chiedevi di che colore fossero le nostre mani
quando si intrecciavano le braccia,
come per intensificare questi abbracci inutili
e poter abbracciare il tuo sguardo d'oceano
e nient'altro.
Ci eravamo un po' stretti nelle coperte ad osservare la corrosione dei cieli
e la formazione di tempeste elettriche
mentre cercavamo di parlarci.
Ci eravamo dimenticati di ferirci ancora che non ti si scioglievano ancora le lacrime.
E le mie mani quando ci passavo sopra per toglierti quelle azzurrità infinite di fondotinta leggera
che ti colava e precipitava addosso alle guance
macchiandoti,
e tu arrossivi, tu arrossivi
e facevi rinascere i tramonti.
Eppure le evoluzioni cosmiche dei detriti
spaziali ricordano stazioni alluvionali
dove raccolgono frammenti di gocce d'oceano
ricavate dall'orgasmo delle tue lacrime
svolazzanti.
E ci entravano pure le falene dal finestrino
della macchina e non vedevamo più niente
dalla nostra intossicazione alimentare
d'amore
che ci naufragava lo stomaco.
E ti scrivevo con un inchiostro stanco sulle pareti
di qualche edificio abbandonato,
dove ci eravamo detti che:
"Anche le lamiere hanno avuto il coraggio di sfiorarsi per costruire grattacieli bellissimi,
e non c'era un cazzo di romantico"
E la tua paranoia,
le mie paranoie troppo chiare e confuse.
Vorrei che tu mi aprissi i tuoi teneri occhi
e lasciassi scivolare addosso delle uniformi mimetiche per confonderti
ai nostri orizzonti, e sugli sfondi le ciminiere
che, isteriche, lavorano di sera
e fumano sempre,
non sono in cassa integrazione.
I dati statistici dicono che cerco di pensarti
e tu forse stai cercando di dirmi che vuoi reinventare un universo
in cui vuoi che la Luna mi attragga
come se fossi un mare in burrasca.
E ci limiteremo ad osservare con ammirazione i temporali
perché col sole ci vediamo troppe ore al giorno.
Perderemo del tempo passato a disegnarci addosso dei silenzi nomadi
che imbiancano i cieli color grandine.
E il blues dei tuoi capelli strani colorati
che erano dello stesso materiale sfocato dei tramonti
li avresti ridipinti con il colore
delle aurore.
Questi cieli magri e vuoti di parole celesti
e nausee contemporanee
al nostro risposarci su baci fragili che si disfano
come parti biochimiche di qualche atomo.
Com'è che esiste ancora Chernobyl, non l'hanno
ancora distrutta dopo la nostra pioggia meteoritica
di frasi d'effetto, d'affetto sotto effetto
di tempeste elettriche. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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