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Dal vento ch’infuria discende una possa
che piega… che smorza gli stami de’ fiori;
le rose schiacciate non hanno colori,
la rossa lor tinta quel lampo bevè.
Dal nembo che piove, che mugge tònando
precipita ‘l sale che nutre i giardini.
È cieco ristoro di biechi destini,
d’un Sole che muore, che prima splendè.
Dal ghiaccio di grandine grida l’estate,
il dubbio s’insinua sul fiume che scorre…
il dubbio ch’inverno non puotesi sciorre
che ‘l foco del nembo per poco brillò.
Dal core funesto del nero orizzonte,
la linfa non palpita che atro madore.
Il vento che soffia sospira dolore
e fuga trovare non più non si può.
Silenzio!
Non vedi, non odi la furia del vento,
non senti che piove sul mesto sentiero.
La Notte che mugge, sublime mistero,
è un nembo che vola quell’acque a versar;
ed è quella pioggia ch’infiora le valli
notturne del sogno, del queto riposo
il pianto che spremo sul fiore odoroso,
sul docile stame che vado a cantar….
Ed è quello ‘l segno, quel palpito in strazio,
degli ultimi sogni d’un core perduto.
Per esso mi giaccio, dolente e seduto,
sul vago raggiare d’un pavido Amor.
Silenzio!
Non vedi, non odi la possa del nuvolo,
o docile fiamma ch’ai palpiti oscilli;
e tu che mi giovi sei tu che m’assilli
or quando ne’ sogni m’atträe ‘l dolor.
Silenzio!... Silenzio!... Ahimè! Silenzio! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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