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Le nostre immancabili canzoni,
scritture cifrate
delucidazioni,
poesie.
Le nostre mani timbrate
all'ingresso delle discoteche come
per catalogarci,
come fossimo esemplari di una specie
che debba per forza rinunciare a conoscersi.
Le tue paure, le mie paure.
E romperemo pure le file nei bagni pubblici
visto che non c'era un ordine.
Erano grandi i progressi tecnologici,
nei cellulari mettevano pure le fotocamere.
E adesso chi la fermerà la tua follia di
tirarmi addosso fotogrammi, sempre fotogrammi
coi tuoi dieci grammi di Virginia che non finivano mai.
E si arrotolavano pure male le cartine.
Come quando ascoltavi Bob Dylan e cercavi
di urlare più forte del vento che cercava di
attraversarti i capelli e tu assumevi una posa da incazzata.
Volevi essere famosa come una dei telefilm americani.
Magari chi cazzo lo sa,
una Monroe o una Hepburn.
Ti suono ancora una volta che mi manchi,
cazzo se mi manchi.
Ogni volta che ci penso sbaglio accordo
e mi tocca ricominciare daccapo.
Ma tu mi scrivi che sono i nostri vent'anni
e che non ci dobbiamo preoccupare.
Cristo, sembra una canzone di Ligabue già sentita.
"Tutto passa che ci riderai su"
Già, ridere.
Sembra quasi un peccato da quanto tempo non osiamo ridere.
E mi chiedo sempre come ci siamo arrivati a questo.
Forse è il mio scrivere che ti provoca stati d'ansia da cui non sai uscire.
Il tuo sistema nervoso saltato in aria come una mina antiuomo,
per allontanarmi.
E usi sempre gli stessi fazzoletti,
coperte, cuscini, notti, stranotti,
bicchieri luminescenti, le tue serate con le amiche,
i tuoi fondotinta, le tue occhiaie distrutte,
e mi scrivi che poi tanto torni, devi solo pensarci.
Devi pensarci, devo pensarci.
Devo pensarci, devi pensarci.
E continuiamo a non vederci.
Eppure lavoriamo otto ore al giorno sempre di fianco
e mi chiedi se ti posso prestare qualche moneta per un caffè
dicendo che sei isterica, che non ci posso fare niente.
Non ci posso fare niente per il niente che posso fare.
E dici che i miei scritti assomigliano un po' alle cose
che non dici per paura di ferirmi,
ma se mi avessi già ferito per non
avermele dette,
avresti detto che era uguale.
Ogni sera alle undici ti ritrovo con quel libro
che ti avevo regalato per il tuo compleanno.
Ogni sera alle undici mi ritrovo con quel libro
che mi avevi regalato per il mio compleanno.
Ogni sera alle undici ci ritroviamo con quei libri
che ci eravamo regalati per i nostri compleanni,
tutto uguale.
Pure il libro che non mi avresti mai regalato,
parlava di un romantico che era scappato di casa
per andare a trovare la sua ragazza.
E dobbiamo cominciare a vendere le nostre ore libere
e i tuoi orecchini
per pagarci le ricariche telefoniche.
Poi mi dici che ti sembrano troppo giovani
quelle ragazze al sabato sera in discoteca,
che ti sembra di essere loro madre
e ti senti a disagio.
E mentre te ne tornavi a casa mettevi le mani
nelle tasche del giubbotto,
che avevi freddo,
che eri stipendiata da troppi pochi incontri.
Da Milano a Roma, da Roma a Tunisi.
Volevi cambiare lavoro.
E continuo a suonare sempre gli stessi tre accordi,
peccato che per scriverti
dei tuoi sguardi dovevo usare pure il quarto.
Davanti ad una folla che non si capiva
se stessi piangendo, o ridendo, o tutti e due
e ne veniva fuori un bel concerto.
Le strade deserte con mille depliant svolazzanti
con sopra scritto il tuo nome,
com'è che me ne sia capitato uno in mano.
Il bello di te era che per stringerti dovevo vederti
e vederti era bello,
era stupendo.
Mi parli come se ti stessi mangiando le unghie
quando tornerai a sorridere forse le dipingerai,
le dipingerai.
Sempre con quei jeans strappati
che rincorrevano il tuo cuore e ci mettevi una pezza sopra,
forse per nasconderti
a qualche spacciatore che ti vendeva amore
in nero.
E troveremo il modo di pagare,
troveremo il modo.
Ancora ti ricordo
e come ti ricordo ancora
con quelle canzoni rock anni 60,
che le abbiamo fatte nostre,
che erano nostre.
Come le albe, le sere a bere, i giorni passati a pensarci.
I giochi pirotecnici a Milano che t'illuminavano le corolle
verdi dei tuoi occhi.
E ti suono come se avessi trovato uno spartito
disordinato,
come se mi fossi perso ad ammirarti i capelli
che proiettavano sulle tue labbra
una specie di abbraccio.
Dici spesso che ti mancano ore di sonno
perché ogni sera sbatti piatti,
bicchieri e ti ubriachi di pensieri.
E quanto ci costano quei pacchetti di Marlboro
buttati via a metà fuori dalla finestra.
Gli accordi usati e strausati come i tuoi pantaloni stretti.
E se tu per curiosità vivessi d'infelicità,
abbracceresti pure l'universo per sentirti meno sola.
Dimmi che tornerai
tra mille cose che ho perso,
come una poesia:
tornami in mente. |
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