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Mi trovavo, di mattino, in Municipio
giacché sbrigare dovevo incombenza;
di botto di violenti fui a corto spazio
che perso aveano il senso di decenza.
L’un volgarmente all’altro si scagliava
mentre quell’altro, in urla, bestemmiava;
l’uno del ladro dava al suo collega
l’altro parea avesse gusto a brutta bega.
L’uno la Benemerita invocava
l’altro, la strozza, d’un balzo afferrava;
quello di stazza grossa ed imponente
rendea quell’altro nullo ed impotente.
Fortuna l’ali stese, in quel frangente,
ché trovavasi vigorosa gente
che il piccol sollevava con veemenza
mentre al bisonte entrava in colluttanza.
Ed or, ciò detto, pure il mio pensiero,
mi si consenta esponga: Degrado
peggiore esser non potrebbe se al guado
d’aspettar il collega l’altro è altero:
Miseri di gruppo, furon compagni
per conquistare un umile sgabello
e non disdegnaro loschi convegni
amando coda leone a test’agnello.
Di bega e lascivia gente non ha usanza,
e in ossequio a legge vuole reggenza;
urge di governanti vera presenza
che alla comunità dia rispondenza.
Uomini, quindi, di governo degni
di rispetto intrisi, non di sdegni,
ch’abbiano qual fine bene comune
e interessenze mai, giammai niune.
Chi di cosa pubblica ha la reggenza
non stia in letargo e misera temperanza;
s’adoperi a toglier crosta e indecenza,
dimostri ancor fermezza e sua prestanza
pur senza dare sfogo all’impazienza.
Ridoni al popol suo persa speranza
e ripudio non tocchi comunanza;
designi il consiglier per competenza. | |
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