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«Non ci si uccide solo per le precarie condizioni fisiche o economiche: talvolta lo si fa perché ci si sente soli e abbandonati. Mesi fa morì, nella mia cittadina, un uomo, che conoscevo da ragazzo, e che poi era diventato parente di miei parenti. Più grande di me di una decina di anni, lo ammiravo anche perché era un discreto sportivo (calciatore e ciclista dilettante), oltre ad essere un onestissimo operaio. Mi avevano detto che era morto di morte naturale, ma ora una fonte bene informata mi ha riferito che in realtà si è impiccato, forse perché, rimasto vedovo da anni, sarebbe voluto andare ad abitare con la figlia e il genero, i quali, probabilmente, non erano d'accordo. Ecco una triste conseguenza della mancanza di affetto e di calore umani!» |
Inserita il 06/06/2013 |
Qui non succede spesso, nella Napoli
che il sole come emblema da più secoli
ha scelto, perché vita scorra calda,
sperando che la morte giunga tarda.
Quando succede, a volte, troppo deboli
sono visti coloro che ai tentacoli
di quell’estremo gesto non resistono,
che sotto un nero cielo andare ambiscono.
Non appaiono molto rispettabili
i suicidi, non certo preferibili
a chi la morte attende nel suo letto,
senza sapere dove è mai diretto.
E rimaniamo in pochi, calcolabili
su dita di una mano, noi sensibili
alle superbe morti non dettate
da nessun dio, da soli programmate. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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«Nel Napoletano l’omicidio è sempre stato senz’altro più tollerato e perdonato del suicidio (come del resto, se non erro, nella morale cattolica) . Questa poesia intende ricordare e onorare tre morti suicidi (una collega e due conoscenti) della e nella mia cittadina.» |
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