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Tra nere pareti di lava, contratta
dal gelo dei millenni
scintillante
al lume della torcia innanzi
vado, solo per compagno
il peso zaino
fedele di presidi
da sete e fame difensore tratto
per le strettoie del nero passaggio
ch’ora corridoio raffigura
e se la volta talvolta il cielo
ostende pur sempre la magione
finge d’aspro gigante sconosciuto;
io seguo le volute che la lava
ha dovuto seguire anch’essa stretta
ai fianchi del gigante di granito
e fin dal parto una corona data
gli fu di ghiacci e di nubi oscure
e il nome d’essi tutti è silenzio.
Inchino il capo
al monarca dell’alpe e quel sentiero
attraverso l’immane struggimento
che fu nei tempi e mi menò spedito
all’attacco del marmoreo monumento
resterà nel mio spirito inciso
come grave ferita ora guarita
conserva il segno del chirurgo.
Ti pregai quando credevo compromesso
il mio cammino e tu mi rispondesti
“coraggio, figlio, nulla è mai del tutto
perduto finché a noi sincero
d’amore e di bellezza batte in petto
il cuore, guarda, su, c’è ancora il sole
sulle Jorasses”. Ora, che Iddio mi guidi,
perché i miei passi portano soltanto
dal letto alla poltrona. Sopravvivo.
Ma dov’è il canalone? Ove la lava?
Dove lo squarcio, il tetto di granito?
Dov’è la roccia tanto accarezzata?
E ancora prego, dì, Signore Iddio,
dimmi dov’è, dov’è lo zaino mio? | 
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