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Scese la Notte. La nebbia s’alzava.
Sparve la Luna da’i nuvoli folti.
Presso la valle gridavan gli stolti
lupi de’ boschi che ‘l cervo sgozzâr.
L’agre lanterne dell’oppido parvo
spensêr il foco coll’ultima vampa.
Serrava ‘l ciglio, stendeva la zampa
il prode cane di caccia mortal.
Un’ombra tetra, confusa nel denso
bruno terrore, correva corriva.
Qual empia trama nel manto copriva…
qual nero inganno portava nel cor!...
Era meschina… perduta nel senso
stretto irridente del gelido orror.
Ov’era un rivo pasciuto dai monti
dell’acque fredde di torbida cresta,
stava un palagio di nobile vesta
muto… dormiente qual morbido asil.
Ivi sognando membrava una dama
l’estremo detto dell’ultimo Amore;
ed era bella, gentile qual fiore…
dolce e aulente qual guardo in sul Ciel.
Ma l’aspro strido d’un cane destato
quel molle sogno ben tosto sconvolse.
Lei si destava; smarrita rivolse
cupido ciglio al rimpianto che fu.
Ancora fiero sonava un latrato…
ancora crudo… tremendo ancor più.
Quando rapita da stral di candela
l’ombra funesta si volse a finestra;
quando l’artiglio mostrava ginestra
qual rosa secca dell’arido suol,
alla fanciulla s’accese ‘l recordo
del caro amante perduto, negletto.
Quanto risorse dal core l’affetto
del gaudio antico nell’estasi e vol!
Era quell’ombra dipinta per tende.
Lenta mostrava le placide pose
d’un uom solingo che in mano le rose
tenea nascoste per blando mister.
Ahi, quell’Amore ch’è fatto d’ammende
è sol inganno d’un demone alter!
Mesta fanciulla colei se n’andava
presso la porta dell’egra sentenza.
Poi schiuse l’uscio. D’ingenua demenza
l’alba coscienza costei si macchiò.
Possente mano l’avvinse le labbra…
ombra furtiva svanita ch’apparse.
Fiamma d’Amore fu tresca che l’arse…
Amor che tutto le diede e negò.
L’altera mano le torse i capelli
mentr’ella fredda spirava tremante;
mosse le labbra. Ma l’urlo sperante
tosto si spense e nessuno sentì.
Folle s’alzava rumor di coltelli.
Lama in sul collo. L’infame ferì.
L’ombra trionfante lasciò la sua preda;
e questa cadde gemente ne’ lassi.
Prese ‘l meschino da terra due sassi
e contra ‘l ventre crudel li scagliò.
Poi col sorriso svanì nella Notte.
Presso ‘l giardino giaceva la donna.
Bianca qual marmo, di sangue la gonna,
col core al labbro silente spirò.
Allora il vento baciava ‘l suo seno…
la densa nebbia sfiorava la gola.
Era carezza dell’ultima fola…
era ‘l retaggio dell’ultimo Amor.
Giovin qual vera, più bionda del fieno
ella fu uccisa!... Orrore!... Orror! |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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