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Era un’ora imprecisata di un mattino senza sole;
lasciavo quel posto di polvere e brutti ricordi,
la mia anima viaggiava nell’aria pura,
guardavo distante quel corpo insanguinato;
non ricordo se dentro un sacco o in una bara,
ma in fondo poi, cosa importava!
Non capivo chi erano e perché scelsero me,
forse una preda, un povero civile;
dovevamo pagare noi per un paese,
per delle armi non portate ed imbracciate,
stupide parole di guerra e pace pronunciate;
ma dov’eran quel giorno le bandiere,
e i notabili del paese seduti su una poltrona?
Neanche un topo nella fogna era trattato peggio,
seduto a sporcarmi nella loro marcia realtà;
negli occhi lo schifo di andarmene senza motivo,
ero una sagoma come mille ragazzi con l’elmo,
costretti a correre tra bombe e saltare in aria,
per decisioni di potenti che non conoscevamo,
molto più ricchi di parole e vogliosi di sangue:
ma in fondo, cos’era per loro qualche morto?
Hanno riso, nel trascinarmi come una bestia,
le vere bestie senza coraggio di mostrarsi;
al brillante lampo del fucile sulla mia testa,
la rabbia della mia anima ha gridato con forza,
sapendo che non avevano la forza di guardarmi;
i vermi sono leoni solo con le bombe in mano!
“Ora ti faccio vedere come muore un italiano!”
pensando ai miei cari, agli amici, non ai governi.
Intanto,
si abbassava il grilletto verso me,
e prima che il sangue scorresse lento su di me…
Spara! Spara! Sparaaaa! 26 aprile 2004 |
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«(a Fabrizio Quattrocchi)» |
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