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E sia,
m'inchino al tuo cospetto,
e che tu me ne dia merito no, non mi aspetto.
Ti pare quasi immeritato
il privilegio che, non richiesto,
mi hai donato.
Sì, mia vita,
per Dio o per fortuna
posso guardare ancora a questa luna,
ché occhi mi hai dato,
ma grandi troppo per non vedere
ahimé, la miseria che attorno a me
meno che celata v'è.
Non di quella, parlo,
del pane secco, delle mute mani di sangue intrise
al cielo.
V'è in giro una miseria ancor più seria:
è quella che s'ammanta, nell'anima, di virtù pelosa,
del buono e bravo,
e politicamente corretto.
Sì, mia vita,
un cuore ho che batte nel petto,
ma a dirla tutta gli trovo un grave difetto:
ha orecchie troppo grandi
e troppo caldo il sangue,
per non sentire chi d'orecchie fa mercante,
e scrive e va dicendo straparlando per celar la sua ignoranza e ciò
che agli occhi è oggettivo il fatto:
dalle intemperie battuto,
ad ogni pioggia esposto,
il corpo suo ha nudo il re.
Ma la miseria d'intelletto non credere, no,
sia meno che un difetto.
Sotto questo manto di cultura appiccicata, appiccicosa,
all'ombra... anzi no, grazie alla miseria della virtù pelosa,
la gente vera vive e muore
e tutte le madame e i soggetti
che nelle lor tane sputano sentenze
nei letti loro caldi e protetti,
son proprio quelli che alla miseria vera,
fatta di pane secco,
condannano chi di quattrini non ha il becco,
al grido, a dir loro misericordioso ma invero demagogico:
venite gente, orsù,
che lì niente avete
e quaggiù finalmente troverete
di miniere le monete. | |
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