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Era bella sìccome la viola,
era dolce qual frutto di melo,
era’l core del libero cielo,
era’l gaudio di giovine età.
Alle spighe!... Mietiamo, compagne,
i bei semi del fervido grano;
colla falce chiniamo la mano
ove dessa menava’l suo piè.
Era pura sìccome la neve,
era chiara qual fiore di giglio,
era spirto ch’usciva dal ciglio,
era’l sangue d’un soffice cor.
Recordàte, fanciulle serene,
che quand’ella mòveva pe’i colli
eran fresche le ripe e pur molli
qual stregate da insolito stral.
Oh qual storia di lei pur si narra…
una storia cantata da Notte!...
Or sentite, o vergini ghiotte,
quel racconto che s’ha da cantar!
Era sera; la falce posava
sulle spighe dell’ultima pena.
Venne Notte; sonava la cena,
si menava contenti a mangiar.
Era bimba; la prece sclamava
in su’i cocci di calda polenta;
l’alba mano portava contenta
alle labbra quel parco piacer.
Nello spirto pregava’l Signore,
con il pugno versava la coppa;
un po’ d’acqua bagnava la toppa
che copriva la veste in sul cor.
Ecco triste si desta dal ceppo,
prende’l coccio del miser ristoro,
apre porta, sen’esce tra il moro,
fosco corpo del livido ciel.
Va tra’i galli che cercano grano,
si rammenta di giovine chioccia;
la polenta diventa una goccia
di ristoro per altro animal.
Alle lagne del rigido padre
quella bimba non mosse sospiro;
disse solo che forte desiro
fu del Cielo che tosto’l bramò.
E nel dire siffatte parole
un bagliore pel ciglio s’accese;
più stridente d’un arabo mese
una luce in lei balenò.
Era bella sìccome la rosa,
era dolce qual goccia di miele.
Il suo core dischiuse le vele
sulla porta d’un crudo martir.
Dicon certi che l’ebbero vista
che in sul rogo moveva concenti,
dicon anche che gli ultimi accenti
furon solo per Cristo Gesù.
Era pura sìccome le piume
d’un dischiuso ridente pulcino.
Era’l soffio di spirto divino,
pel Divino costei s’immolò. |
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