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Tra sfibrati rami e fulve chiome
turbina e ruglia il vento
tombano fronde e ramaglie
in alto grigie lanugini sfilano veloci
dà il cambio l'autunno a l'estate.
Di quanto sono più invecchiato
quanta ruggine ancora su giorni passati
e i sogni e i cerei pazzi voli
da quando non mi hanno più contattato!
Scorre il flutto, borbottando
sotto i ponti dirige a rogge o al mare;
in me, acquitrinoso, schiume non vi sono
senza creste, stagno;
il meglio delle mie forze
si è preso nel tempo la vita.
Dove potrò più andare io senza gorgoglio!
Ogni lampo che abbaglia è pura anamnesi
nulla o il vuoto figge lo sguardo.
Non chiedo quasi più niente
l'arco che scaglia desideri si è snervato
e la faretra è vuota;
più non mi affretto, evito gli ingorghi,
non mi accaldo né mi raffreddo
poco acciuffo di qualche soffio
tutti spirati sono i colpi di scena;
l'età, parlante o muta, tutto dice:
quel che ci è toccato è noto
resta solo l'incognita del domani
che dista appena qualche vispa frazione
di milionesimo di tempo dalla fine.
Fu forse tutto un imbroglio orchestrato
tra aureole di mendaci apparenze
emerse per caso e per cause ignote.
Che ancora da evanescenze affiora
che tra sprazzi di sole o di luna
che a pugni o a manate di vento resiste
a rapprese illusioni abbarbicato?
Non il colpo secco che ci spezza
ci strappa e ci stacca dalla vita
ci impaura ma solo gli scricchiolii
e le agonie della carne ci fanno orrore! | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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