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Bell'iri del cielo, bianco fulgore
di melanconica Luna e di Stelle.
Poscia la tempesta questo bagliore
bacia del suol l'erbe, e de' fior la pelle
che novellamente sen va a sbocciar;
e questa Notte sublime che canta
la voce de' grilli, l'urlo de' lupi
men cruda... men tosta si mostra, e tanta
luce scende soave su quelle rupi
e su quell'arcane rune da svelar,
onde par che nel celeste diamante
gli Eroi danzino e i Numi antelucani
nel gaudio torneamento d'un'amante
aura che più sospiri e accenti vani
non sa proferir, non vòle soffiar.
Lì Wotan ansima dall'alte lingue
della sacra sua lancia, e beato regna
e gioviale rimira che s'impingue
la terra intera, del suo Nome degna
figlia, o custode d'un santo furor.
Là nel mar cadente d'un cimitero,
da tomba bagnata da pioggerella
l'appassito fiore... fiore ora nero
di perduta Ville la danza bella
volge al recordo di terribile Amor.
Batta i passi l'arpa di quest'aurora,
canti'l fandango l'orchestra del cielo
che più non torrebbe nemmanco un'ora
a quella dolce ombra o danzante velo,
o Genio di ballo che brama morir.
Addio, misterica dama. Addio, Fata
di Morte! L'alba della Vita s'alza,
ma io, bardo, non lascerò che dannata
a peregrin duolo di balza in balza
tu vada nelle tenebre e né marmi
dell'avello tuo, dal nome consunto
che tra l'erbe ora riposa senz'armi,
senza ricchezze, per sempre defunto
nell'antro del peccato che fu Amor. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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