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Le piaceva immensamente
stare lì, accoccolata
sul mondo, sulla spirale
del nulla infinito che si scioglie
e si snocciola giù
sulla stuoia del mare, del sale,
del sole. Le piaceva immergersi
nella luce che emanavano le stelle.
Lei era nebulosa riflettente, stagliata
come appunto, come ammasso,
come abbaglio e come appiglio.
Lei era voce, era canto,
era fiato di primavera, dal sapore dolce
come il miele. Era suono piccolo,
acuto, era nota di pianoforte
spinta in alto, spinta oltre il vano
e oltre il varco.
Lei era limite, il confine degli occhi,
dove il cielo entra nel mare e il sogno sfavilla
nella scia dorata: era orizzonte.
Lei era la curva, da prendere piano,
a velocità ridotta al minimo
- magari col piede sul freno dell'esistenza –
Le piaceva stare lì,
sulla lacrima in punta di ciglia,
a piegarsi piano alla gravità
e poi giù, fino all'ostacolo
- che molte volte era il vuoto –
Le piaceva la coltre di polvere
che si dissipa allo scuotere
della stoffa vecchia delle tende,
nel salotto di una casa abbandonata.
Le piaceva, ancora,
vibrare d'amore, d'ansia,
ammaliata, affranta quasi
dallo snocciolarsi ripido del tempo
che vola,
e vola su segmenti spezzettati,
sparpagliati e tinti di colore.
Le piaceva immensamente
stare lì, accoccolata,
come il primo raggio di sole
che si affaccia timido.
O come le nuvole tronfie,
rosa come lo zucchero filato.
Beveva la vita
a sorso a sorso
nel costante tintinnio,
gocciolio di pioggia.
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