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Notte!... Da queste lagune di dolor
un sentimento opprimente s'accende,
un sentimento penoso che tende
i pianti suoi alle mie mancanze d'Amor;
e grida... urla ferale. Mi spasima,
m'affligge affogandomi nel suo senso.
Non dormo... Non spero. Ma mesto penso,
penso che questo crudel fantasima
venga a preludiarmi le brute pene
dell'Averno, terrore che non merto.
Tu, fanciulla! Tu, sconosciuto bene,
non puoi nulla per empir di conforto
le tremanti mie vene. Sogno! Serto
sei tu del mio core. Ma son io morto.
Morir... spirar senza amar una rosa,
sorte orrenda! Quando la Notte viene,
quando sul volto della Luna sviene
il Sole, il pargoletto senza posa
stanco volge lo sbadiglio e s'abbraccia
alla madre che gli dà un dolce bacio,
la bambola di pezza. Ma io mi giacio
solingo, con melanconica faccia
sull'attesa d'un vagheggio irrequieto
che il vero sonno tosto mi rapisce.
Frattanto il mondo degli amanti è lieto...
il mondo che meschino m'allontana
poiché dall'infanzia non mi capisce
un Fato oscuro e bruto. Oh Sorte arcana!
Ahi lasso, chi terrà dunque la parte
solinga de' miei palpiti infelici?...
È buffo! La Pace stringe i nemici,
Venere disarma il portente Marte.
Soltanto il mio core non ha valore
in queste pugne ov'è sempre calpesto.
Eppure mill'altre volte ho richiesto
al Cielo, al Mondo, a me stesso l'Amore;
e l'Amore giammai ho. Me tapino!
Me misero! Lontano dal diletto,
lontan dal gaudio, vicino al Destino
vivo... vivo immoto... E più non spero.
Son fatato! Sempre solo, soletto!
La Notte non ha tinta. Ma il dì è nero. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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