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| L'orlo delle tue azzurre vesti
lambisce i tuoi dorati fianchi.
Non di truce matrigna è quel caldo sguardo.
Seduta qui ti guardo
e in te vedo solo un'afflitta madre,
tradita dai figli che generò.
Un tempo fosti madre prodiga e generosa,
sorella imprevedibile e meravigliosa,
dea splendente nelle sue incantevoli vesti.
Ma un giorno non più il moto delle stelle
guidò i nostri passi,
né fu il bisogno a sfamarci.
Troppo rozze divennero le pelli
e i nostri spazi troppo angusti per la nostra fantasia.
E così avidi e ingordi partimmo.
Cercando nuove terre,
nuove cose da render nostre.
Uccidemmo chi già trovammo,
diverso e poco incline ad asservirsi.
Scopritori involontari ci credemmo creatori.
Come un'amante sedotta ti lasciammo infine,
troppo misere divennero le tue meraviglie.
E il desiderio inappagato puntava al cielo,
sognando nuovi diversi da sterminare.
E ora che il conquistabile è conquistato dove andremo.
Troppo fragili sono le nostre ali,
troppo piccole per attraversare lo sconfinato mistero.
Intrappolati nel regno del possibile,
ingratamente ti distruggiamo.
La tua nera linfa sporca la tua azzurra veste,
e il nostro rosso sangue d'infamia ricopre la tua bruna pelle.
Si spegne il tuo verde cuore
e la tua anima immortale piano, piano muore.
Madre terra divenuta matrigna,
guardando il tuo mare, ti carezzo
e la stoltezza dell'uomo insieme a te piango. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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