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Questa sera mi sento un creatore,
fantasticando lascio un segno delicato
nell'intrecciare insieme più parole,
per inseguire questo groviglio arzigogolato.
Mi domando delle parole e il loro senso,
ne deduco un potere affascinante
nel trasporre un pensierino in uno immenso;
forgiarle all'inferno, mondarle in acquesante.
Amo e lodo la parola e il suo utilizzo,
da quelle senza fronzoli oppure in tono,
ricamandone trame in cui ipotizzo,
confesso; ne adoro follemente anche il suono.
Parole tutte in fila sussurrate
vestite da domenica dal prelato,
cadute, a pezzi e sprecate
per un sermone ormai già troppo ascoltato.
Gonfiare paroline in paroloni,
usarne il giusto o parecchie,
necessarie come l'aria nei polmoni,
espressive, come le mani delle vecchie.
Di parole facciamone una scorta,
i più silenziosi lo sanno già da tempo,
che quella giusta ti apre quella porta
e quella errata, è urlata nottetempo.
Parole da politico avviato,
inanellate donan promesse e sogni vani;
rabbiose da animale arrabbiato,
che ti fan essere l'ultimo dei cani.
Che scopo avrebbe poi comunicare,
se le dieci che usi son sempre quelle.
Avrebbe maggior senso al più mimare,
che ad infilar con l'ago le tue stelle.
Festoni di semantica da urlare contro gli ottusi,
abbattere finti giganti di elevatissima fattura,
rivestir di grida l'ignoto ed i soprusi,
gonfiar le proprie vele, in faccia alla paura. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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