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Pensavo d'averla fatta franca
non migliorando il mio disgiunto
sconfessare. In pura lingua avita.
Gelido comprendo che l'ingegno
subissa il mio diletto fuor di me.
Speravo in la ventura e in una prece
intenzionale, ora prestante, ora sottile,
ora foriera di novizie. Invece no.
Il mio beccar dilemmi imbratta il
calamaio, pria che la penna insozzi
il lindo stile. Non ho mirabil cura,
né lessica carezza, non odo l'agitar
delle mie rime disadorne, e il bilico
incompiuto del mio costante saccheggiar.
E son parole solo in bozza di magia.
Non sono che un umile nocchiero di
presagi in fondo molli e menzogneri.
Volai più in alto d'un Icaro ribelle,
per ricader spietato nell'averno
dell'incoerente rimeggiar.
Inviolabile è lo scrigno del limpido
poetar, impudico è lo sguardo che
blande il bello stile, io son supplizio
nel differente viso della luna.
M'affascino del vuoto espositivo e solo
in pectore io lodo il mio chiocciar.
Avvezzo al dolo del verbo e dei
suoi tempi, io lasco e dissoluto appaio
a chi mi legge. Né più né meno che
un impietrito ingorgo di pose e di
concetti addottorati al nulla purgativo.
Son solo, e il tempo raschia impervio
il sogno d'immortale vanità.
Dovrei capir misture ed intenzioni
e toni glabri in splendide virtù.
Pensavo d'averla fatta franca, ma son
caduto in fallo, poiché la messa a punto
è solo forma immeritevole, è più bastone
che carota, è più d'ingenua povertà.
E di poetar non sono degno, ma non
comprendo poiché dovrei copiar gli
scritti altrui per essere di lode appesantito. |
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