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Cantavamo noi
con le bocche scucite fino alla gola,
con le tasche bucate da stelle troppo appuntite.
Dicembre a Milano sapeva di vento radente sul mondo,
quando Parigi non era ancora sicuro rifugio
e la vita era un dado da tirare a scommessa.
Cantavamo noi, Ciao Bella e sapevamo bene
dei nostri padri tornati non tutti,
attraverso campi stecchiti d'inverno
piantati d'alberi a dita diritte
verso nuvole livide di cenere d'ossa.
Cantavamo noi, dei nostri padri
volati e dispersi in respiri di vento.
Pioggia di pietre a Jabaliyya .
Il mezzobusto gessato, labbra troppo sottili,
annunciava titoli a piombo in assetto di guerra,
mentre, chitarra tra i denti, Hendrix urlava "Hey Joe!"
e noi a rispondere, a cantare di notte
quando era tardi, troppo tardi anche per dormire.
Poi furono nuove e incerte città,
frantumi di finestre alle fabbriche
e bandiere aggrovigliate a margini sottili e slabbrati.
Ali nere gonfiavano il cielo di velenosi sussurri,
già vecchia e inesorabile la ruggine
il maglio di Franceschi scalava,
mentre ci cadevano dagli occhi poesie e canzoni,
sciogliendosi in aghi verso il mare correndo.
Ora,
non passa più il 12 in piazza Fontana.
Dicembre a Milano è una lapide arrugginita,
polvere, vento e nuvole basse a bendare anche il sole.
Sull'asfalto le macchie le hanno beccate i piccioni
e nessuno ricorda per ferita o per nome,
ma il mezzobusto ingrigito è sempre in assetto di guerra,
mentre noi, Bella Ciao, forse per l'ultima volta, a cantare. | |
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