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 | Nel languido assopir della sera
alzo lo sguardo al ciel
prima che annera.
Brilla nel manto, quasi corvino
l'unica stella
che sparirà al mattino.
E Morfeo tarda il suo solito apparir
forse indaffarrato o costretto
tra altre braccia pronte al dormir.
Un battito di ciglia come ali
scalza qualche goccia
allontanando i miei mali.
Cuore mio, mi fai gran pena
non trovi pace
e il capo tuo feroce si dimena.
Pensieri di brace il tuo capo arroventa
scarlatte parole
che le tue labbra lamenta.
Anima mia, errante vai
tremi la paura
di non avere il suo cuore mai.
Come rimbomba, come echeggia
quel nome dolcissimo
che nella tua alma aleggia.
Rimango sveglia, io voglio sentir
il nome del mio amato
il nome del mio Zahir. | 
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Questa poesia è pubblicata sotto una Licenza Creative Commons: è possibile riprodurla, distribuirla, rappresentarla o recitarla in pubblico, a condizione che non venga modificata od in alcun modo alterata, che venga sempre data l'attribuzione all'autore/autrice, e che non vi sia alcuno scopo commerciale.
«Zahir è un termine arabo proveniente dal verbo trilittero "thahara" ossia "essere ovvio".
In alcuni casi può assumere l'accezione di "imporsi", "venire a conoscenza".
Secondo lo scrittore Jorge Luis Borges, l'idea dello Zahir viene dalla tradizione islamica, e si ritiene sia nata intorno al XVIII secolo. Zahir, in arabo, vuol dire visibile, presente, incapace di passare inosservato. Qualcosa o qualcuno che occupa a poco a poco il nostro pensiero, s'impossessa della mente fino alla santità o alla follia.» |
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