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Prendere per fuoriporta:
il passo porta oltre perché
il pensiero è preda di una sorta
di distrazione e dell'assunzione
che la strada non s'è accorta
del tempo che è passato e della cerchia
delle nuove mura. Pura coincidenza, ma la piazza
è intitolata alla periferia,
quand'anche paia precisamente pia
come le circonvallazioni non sono,
né un sobborgo medievale o la via
che punta al punto cardinale. In altre città
sono i nomi delle città attorno
a dire del vecchio sentiero o stradone a piedi,
al massimo in sella a una bici, a un animale
o con un carro. In questa pure, eppure
mai visto un paracarro su un bastione
in città, o un carroarmato. Per questo
vedersi ancora prima del semaforo
è una sorpresa, quando l'intenzione
era di buona lena e buon mattino e piena
di potenzialità, di gita o escursione.
Allora i ferri di cavallo al fazzoletto falliscono
come nodi, gravano o distraggono;
le indicazioni temporali abbassano
il finestrino, e poi azzittiscono, cambiano idea.
Sarà che la lingua italiana nel dopoguerra
è cambiata così, accelerando, e uno allora
sa di suonare di stilnovo, o di scuola siciliana,
e ammutolisce, appunto. Inselvatichisce.
Parrebbe strano allora interpellare
il passante, la segnaletica moderna
o la rotonda circolare oraria.
Ma il prigioniero nell'ora d'aria
e il secondino che manovra il proiettore
al penitenziario, non si smarriscono forse anche loro
nella notte, nel cortile, quando veglia con un faro
il lampo conico che esce dall'occhio?
Un pastrocchio così si vede dal mattino, quando
mezza rintronata dall'insonnia
la barba allo specchio abrade adagio,
e il risciacquo di panni e lenzuola- funi
è un camion diretto alle contrade
guelfe, un presagio di vicoli e curve
mal ricordate, arrampicatesi a muraglie
proverbialmente vetrose e mai lasciatesi
completamente alle spalle.
La mappa in disuso, il malloppo
nel petto contuso, il pellegrinaggio al santuario esterno
ritorcono al contrario, pernottano
in un viaggio truce, infetto.
Un cliente lamenta talvolta un difetto e si oscura in viso,
e il suo cassiere sbircia l'orologio dell'impazienza,
la fine del turno, la serata sperata colla fidanzata.
La stagione allora ritira lo scontrino della luce che rade
le mura, le torri, e il mio cammino di barboncino
al guinzaglio del giorno sfatto, preso per mano
e perso. Con una mano mi stringo da solo
una pezza imbevuta di cloroformio al volto,
e il mio ultimo pensiero da perdigiorno
siete voi tutti d'attorno sull'asfalto
che indicate il sottosuolo come unica via del ritorno,
e i merli della parte giusta in alto. |
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