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Potessero gli stami dolci e aulenti
del cor tuo colmo di soave nettare
i miei preghi sommessi e i miei desiri
per sempre accogliere senza alcun dubbio,
e senza soccombere all'aspro onere
d'un indugio che a entrambi sarà fatal,
ché d'uopo non è discerener tanto
ne' recessi arcani dell'onestà mia
e dell'assai clemente tua pietade.
Sì, potessero allora i tuoi petali
in un abbraccio di foco gentile
le reliquie stringermi del mesto cor
soffocando in un impeto di Vita
le solinghe vene che tanto pianser
nella Speme che un dì il sereno maggio
m'avrebbe allietato con una rosa
lo spirto dimesso che più non sarà.
Confondasi così la tinta fulva
dell'amorevole e pio tuo sembiante
col cruor mio che oramai t'avvince stretta
nella singolar tempesta dell'Amor,
e nella procella che mi recorda
la beltà antica di lei che gemente
un dì da pallente porporea ti fè.
Maraviglia!... Le tue spine son baci
che tanto mi rallegrano le labbra;
e l'aguzze tue foglie son carezze
che m'addolciscono le guance allegre
che un tempo giaceano meste e imbronciate
sotto le spade de' dinieghi orrendi.
Frattanto i tuoi stami assorbono dolci
l'amare ultime lagrime del ciglio
che, speglio securo del cor piangente,
poco fa copiose precipitaron
per volgere l'addio tanto sperato
all'odiata solitudine che fu.
Ahi lasso! Che fia?... Ove sei, cara rosa?...
Ov'è la tinta da me tanto amata?...
Me misero!... Ora ch'avevo una sposa
l'ho perduta nel rio nulla d'un sogno
che forse non me la riconcederà.
Eppur m'allieto ugualmente, oh mio canto,
poiché laddove v'è l'indefinito
v'è la possa e la brama di passarlo
e di recuperare la memoria
di ciò che fu... di ciò che s'è perduto. |
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