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Non ho mai avuto un sogno in canna
per poter colpire in petto un giorno vuoto.
Ho armato i miei cannoni di miraggi
che avessero gittate oltre la vita
per fare breccia nell'immortalità.
Spesso ho lasciato che l'invaso dell'attesa
contenesse l'incerto mestiere del sopravvivere a me stesso.
Non è un bel fare il fare ancora meno,
resistere alla noia non è stare fermi al palo
compiangersi e al limite far diventare il proprio corpo un greto
su cui scorra il tempo e il tuo orologio ignaro.
Certo, la corsa puoi non vincerla
se hai il vento che ti corre contro,
se il tuo guscio nemmeno si apparenta ad una noce,
ma rotolando giù per la discesa
l'unico freno resta con quale attrito opponi
la tua verità alla verità imperante.
Chiunque a suo modo vanta credito
e lo sostiene con ragione e spada
ma di vedetta è meglio ci sia l'astuzia
che la più ferma cocciutaggine.
Puoi esaltarti per ciò che ancor ti spinge
o stracciare il tuo stendardo nella battaglia persa,
ma è davvero ignobile restare a mani giunte
quando è la schiena che sola ti sorregge.
Imparerò da te, mio figlio amato,
la forza che oppose il giunco all'acqua
l'elasticità con la quale vinse la sorte e
in una piena si piegò sommerso
ma riemerse più integro del faggio
che non avrà mai più radici a reggerne l'altezza.
Ora lo so che proprio tu, sì tu,
animi il miraggio
di un'oasi sottratta alla deserta morte. |
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