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Faylos giunse all'estremo occidente
seco recando l'Antichi Demoni,
orror del mondo e pagani d'oriente.
Sì famelici qual scarni leoni,
vennero in su la porta di ponente
con suoni tragici e dolenti sproni.
Dovunque l'occhio fisso si possasse,
v'erano l'atre bellicose masse.
"Che'l Signore del Vento venga avanti!"
tuonò la voce del Grande Nemico.
"Svestite, o Paides, i vostri grigi manti,
serbate quel che dite suolo amico,
scacciate la rea turba de'miei fanti
se inver son Io il ver peccato antico.
Io son Faylos, il nume potente,
signore d'ogne terra e d'ogne gente.
Theos mi pose maggio tra voi tutti
sì che fossi di Chton il sol padrone,
ma, sospinti da Spiriti corrutti
in cui non v'è né gloria né ragione,
passi rendeste i mirabili frutti
della Fiamma vivente in mie persone.
L'agir del primo renderà memoria
al possessor d'ogne sacra vittoria".
"Quel che Tu di' è di molesto sapore,
che non tangi il Pensier, se non nel colmo.
Per potenza se' primo nel Suo amore,
per virtù se' nel cavo men ricolmo,
ch'a Te venne potere, ma non cuore,
Faylos, brullo fusto del malo olmo.
Allenta lo sentir che sì ti prome,
che non lece far guerra nel Suo nome.
Rallenta il tuo passo, o Chton, che'l Malvagio
possa patir l'arsura d'Elios gaio
e il suo orgoglio affogar nel disagio.
Sì perveni a compir l'error primaio,
la tua fine segnando lento e adagio:
già similmente nuoti in putre guaio.
Di fuor ritornerai le sacre mura,
ché scalfir non potrai la terra pura."
Scudi fatati e spade prodigiose
armarono i supremi cavalieri
delle riviere ed età meravigliose.
Come stregoni con strani poteri,
fortificavan le lor armi e cose,
ormai perdute nel tempo di ieri.
L'imperituro di Theos Pensiero
rifuse in lor l'ingegno alto più fiero.
Per sette giorni si diede a pugnar
con l'armi magiche del mondo antico.
Subitamente volser contra al mar
i Demoni, qual Pier a Federico.
Ma qual che fosse l'arte del pio far,
non venne vinto il poter del Nemico,
ché avanti l'ebbe previso il Destino
signor di Chton per tal colpo mancino.
Quel che avea fatto pria ed era fatturo
di tale tracotanza non fu certo
ché Faylos qui fece il Regno Puro
di greve ed infernal pioggia coverto,
poscia ch'ebbe in supplizio assai duro
condotto i Fratelli sanza alcun merto:
pianse Theos, pianse lagrime amare,
ché stette Chton per cadere e ruinare.
E rovinava nel Silenzio Eterno
Colui che al mondo diede linfa e vita,
ché Theos cadde nel ventre d'Inferno
e più non si levò per la ferita.
Come il dì muta dall'estate al verno
nell'ora che il cosmo ha stabilita,
così al poter venne il Figlio Malvagio,
sin dal principio nefasto presagio.
Come rocce affocate, già le stelle
fiammeggiavan per l'aere tempestoso,
non più qual prima sì lontane e belle,
ma bieche, il lezzo spargendo focoso
e seguitando l'ignobile Velle.
Non seppe né frescura, né riposo
l'empio agir dell'Oscuro e il suo sopruso,
finché l'Odio fu sovra Lor richiuso.
Più non s'assise il fruscio del vento
a stormir fra le frasche d'arboscelli,
più non s'udì il piacevol sentimento
del cinguettar di splendenti augelli,
più non fluì il tintinno d'oro e argento
che placido scorrea néfiumicelli.
S'erse possente un novo e atroce suono,
di rimbombante e fragoroso tuono.
Melas richiuse per cent'anni e piùe
la flebil speme de'Paides gentili
e sorrise Faylos d'azion sue.
Ma, quando grande fu il poter de'vili,
la sorpresa d'oppressi immensa fue
ché a danzar prese Kalé in passi agìli.
E danzando cantò come mai fe',
da Tersicore presa e Calliopé.
"Luce che népupille mi rammenta
di che splendore fu il volto del mondo,
or movi contra l'astio che tormenta
i Figli Tuoi nell'animo profondo.
Vedi quanti intelletti pei lamenta
di là su mira per un far secondo.
Tu se' colei che abbatte ogne perverso
per amor del suo cielo chiaro e terso.
Noto è il reame dove brillan l'astri,
dove le tetre nubi scaccia il cielo,
dove fluisce l'acqua come nastri.
Il pianto copre il lor viso, qual velo,
il sangue imbeve le lor man d'impiastri,
l'eternità percuote pari a stelo
il lor domani privo di sapienza
e condannato all'infima doglienza.
Theos soggiace alle forze d'Inferno
e invano sana la mortal ferita.
Nello spirar dal mondo ebbe discerno
e disperse il suo Spirito ch'è vita
non tra le fiere carnal dell'Averno,
ma tra mezzo la stirpe redimita.
Elios, sostieni la nostra venuta,
abbatti di Faylos l'arte bruta".
Quello che poscia accadde fu magia:
per il calore si sciolse il metallo
e tosto fu lata la quieta via.
Discese come un velo di cristallo
sulla bieca vision del Male e ria
che rese il Nero per alquanto in stallo.
Nulla mutò in quel ch'Ei vide e sentì
ché sottili ombre pei Paides vertì.
La danza di Kalè fe' addormentato
Colui che il mondo imbrigliò con paura
e per tre dì versò in codesto stato.
A' servidori suoi la vista scura
si fece come ad uomo abbacinato.
Li sollevò il vento sovra la mura
e subitana fu la lor venuta
a Paidoncora da tempo perduta.
Al ché Faylos rinvenne improvviso
e tosto gli sovvenne l'accaduto.
Per l'ira furon gli occhi cavi in viso
e rubri come in corpo sì feruto.
Nel vanto proprio cadde poi deriso
e maledì l'ingegno retto e aguto.
S'alzo furioso, tenendo quel modo
ch'ebbe l'uman nel seguitar il dodo.
Un terribile guaio allor proruppe
che fe' tremar le lande desolate
e l'aspetto di Chton sfregiò e ruppe
in cavità profonde ed affocate.
Di novo rifornì le male truppe
ché le terre non vol lasciar beate.
Ma quel che accadde nel calante manto
vo' che si serbi pel seguente canto. |
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«schema metrico: ottave di versi endecasillabi
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