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Na vorda, quanno era fijarella,
doppo li jorni tristi de li morti,
dell'animu s'arzappavono l'orti,
festejianno San Martinu,
quer santu che se torse la mantella,
pe scallà lu poveru peregrinu,
come premiu c'ebbe dar divinu,
jornate de sole, calle,
che nui chiamamu
l'state de San Martinu.
M'arcordo che ce se arzava
presto quer mattinu,
l'ommini jano jiù a cantina
a spilla lo vinu,
quello novellu, quello birichinu,
lo mettijano dalli votti
drento lu fiascone,
bevendo ogni tanto che sorsettu,
pe sentì se cia a gradazione,
s'ambriacavano come er moscerinu.
Le femmine che s'arzavano a bon ora,
doppo aver arpulitu,
tiravono fora a spianatora,
impastaveno o pane, e ciriole,
e lo stragozzu,
cor zucchero caramellatu,
uva passa, ojo e farina,
facevano u maritozzu,
cor mosto, na rotonna ciambellina,
che era na dilizia,
magnalla gni matina.
Ardea sempre u focalare,
lu fornu s'accinnia
in fonnu alle scale,
l'aria se profumava de viole,
de quilli odori, sento nostargia.
Ma er bello vinia,
quanno scendea er sole,
e l'aria dorcemente s'ambrunia,
casa s'arrimpia de persone,
sur focu jarava l'agnello
e a cacciaggione,
se assajava er novellu,
a castagna arrostu s'arcapava,
se ridia, se scerzava,
se er tempo poi era vellu
ner cortile se annava,
ricordo che li vecchi
ballaveno o sardarello,
na danza antica dell'Umbria mja,
na fisarmonica sonava ore e ore,
la jente allò era semplice,
ancò l'umanità cia lu core.
Tempi passati
che nun torneno più,
armangono ricordi ormai sbiaditi,
der piccolu monnu
anticu, che fu. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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