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Ricordo ancora quel tempo lontano
di quando, imponente, mi tenevi per mano,
dei tuoi sorrisi
dei tuoi sguardi severi
che poi si mutavano
in abbracci sinceri,
di graziosissimi e complicati
scioglilingua in inglese cantati
che tu insegnavi paziente e orgogliosa
a questa bimba vivace e affettuosa.
Ricordo i tuoi occhi colore del cielo
che in mezzo alle rughe come stelle splendevano
e in mezzo alla neve, da solo quel filo,
color dell'oro, che da un tempo lontano
sul tuo capo bianco ancor luccicava
come quando a te Dio giovinezza donava
Ricordo i pianti, le grida, i tormenti
di quando i tuoi cari ti passarono avanti:
ché tu per prima volevi partire,
e quando loro vedesti morire
non fu più pace per il tuo cuore
che si aprì da quel giorno solo al dolore.
Ricordo le lenti di sangue macchiate
che tu da tant'anni tenevi serbate,
e il mio dolore a quel cimelio scoprire
come se allora avessi visto morire
quel ragazzo da me tanto amato
che pur da undici anni se n'era già andato.
Ricordo te in ospedale umiliata
dai modi insolenti di un'infermiera screanzata,
dai tuoi ottant'anni ormai disprezzati
da certi giovani villani e sgarbati.
Ma più d'ogni altra ricordo una cosa;
ricordo dolcissimo: la tua casa rosa
in cui tu un tempo mi vedesti giocare
e vecchiezza e morte, lente, avanzare,
in cui io ti vidi invecchiare e soffrire,
che non ti vide al suo interno morire,
che solo vide tre giorni il tuo corpo,
freddo, disteso, giacere ormai morto. |
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