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«Quanta pietà mi bagna il cuore, e soffia e lambisce lievemente le fronde della mia coscienza. Non t'affliggere anima stagnante nella folle ira che rende ciechi entrambi gli occhi e t'impedisce di vedere invece ciò che può portarti solo del bene, ciò che può portare il bene dalla tua parte. Quella stessa ira mostra ciò che senti realmente, ti mostra nudo fino alle gambe più di quei versi lamentosi e rabbiosi che invece nascondono tanta sofferenza. L'inveire è solo lo scaraventare fuori l'Amore che ti tuona dentro. L'odiare è il più alto desiderio di vita che ormai sembri aver messo in disparte, poiché sei impegnato tanto a ruggire e a lamentarti. L'odiare è amare contro la nostra stessa persona, è amare contro voglia. Non sdegnare, anima addolorata, ciò che sei realmente. L' "essere" è il fiato, il respiro dell'anima. Quindi non sdegnare ciò che per noi è fiato. Io sono quella parte dell'anima che ti alza dopo che sei caduto. Io sono colui che fosti per molto tempo. Colui che paga per i tuoi errori. Tutte le cose che sfuggono nascoste al tuo volere, tutto ciò che non riesci a capire, sfregi e insulti come dannato in pena, perché non sa del vino ch'ignora i mosti. Ritorna a ciò che c'è veramente dentro di te, a ciò che provi realmente e a cui credi, ripensa alle lezioni del primo autore. E' ora che la tua mente, la tua memoria ritorni ad essere integra e serena.» |
Inserita il 08/11/2010 |
No, no. Deh, quanta pièta ‘l cor mi bagna
e lieve soffia di coscienza e lambe
le fronde e non t’affligger alma stagna
nell’ira folle ch’orbi ti fa l’ambe
due occhi del veder il ben di parte.
Mòstrati quella ignudo infin le gambe
più del coverto piagner di tua arte.
L’inveir è sputare Amor che truona.
Somma voglia è l’odiar omai in disparte
della vita, e amar contra persona.
Non sdegnar, alma lacera, di cui
c’è fiato l’esser vero ch’entro suona.
Io son colui che t’alza poi che rùi.
Io son colui che per gran tempo fosti.
Colui che paga per l’errori tui.
I mal ch’al tuo voler fuggon ascosti
schifi oltraggiata come iroso in pena
perché non sa del vin ch’ignora i mosti.
Ritorna a tua matèr che in te si scena,
pensa ciò che t’imbocca ’l primo autore.
E’ l’or che tua memòr ti rieda plena.
Amor artiglia lesto ’l gentil core
com’aquila suol far con la sua preda,
e ’l trofeo non molla pria che more.
Amor sostène e abissa sanza meda,
di luce tigne i giorni o di tempesta,
per fato questi il pasce o li depreda.
Amor da cenre dolce si ridesta
come in aer maestosa la fenice
e volando soave il mondo assesta.
Il tuo penser ch’a Lui lo svago addice
è pellegrin che va per fioco viaggio,
ma questo metro a te e in eterno dice:
"Elli è folle, ma in chi ne fa un oltraggio
rifiutasi di porre sua radice.
Nel fiacco non divampa, in chi ha coraggio! ". |
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«Rappresenta la risposta della parte"buona",saggia, dell’anima (scritta perciò in endecasillabi, e con termini più ricercati, quasi a evidenziare la calma con la quale parla) alla parte invece accecata dal fumo della rabbia, rancore, rappresentato dalla precedente poesia (scritta in ottonari max in novenari, per meglio rappresentare il tono offensivo tipico di chi è arrabbiato e ti scaglia addosso qualsiasi cosa gli passi per la testa).» |
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