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♦ Michelangelo Cervellera | |
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Sovventi, me nei più remoti e cari attimi,
con te, dai quali pare sia reso succube,
di ciò che fui, che ora non sono, né sarò.
Mi decantano e mi deturpano quei dì oramai remoti,
in cui inerte errai nei deplorevoli siti della solitudune
infinita, nella quale asserivo me medesimo, in quei turpi
attimi, in cui avversai nel mio celato io,
l'io che non fui, né per mia sorte sarò.
Al calare di quel ascrivibile di, vidì l'alba ch'io
fino a quell'attimo avrei annichilito. Saresti stato
ciò che mai credevo avvenisse, nella mia complessa
onta d'essere. Ciò che sperasti fino a quell'attimo in cui
mi rimirasti, non credo, né crederò mai che sia.,
ma in quel l'alba si compiì il sacrifricio nostro.
Ora deterrò sulle tue ricordanze,
il mio sogno, il sogno del rinascere,
nell'alba e nel più remoto
tuo tramonto,
tale mai mi disterà da te,
da qualunque tua viltà.
Il tempo, ora nostro padrone
enumererà,forse, il nostro amore
nell'alba dei posteri,
per ora ci donerà delle
memorie,
le memorie
di ciò che
vivemmo,
l'icastico. | |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
«La poesia in appresso,è il mio componimento più agognato e logorato, poiché la mia vita pareva mutare da complessa onta, in vita soave, nell'attimo in cui la scrissi, vi era la "virtus" dell'amor e dell'icastico",ma altresì l'immanenza celere dell'amore scellerato, che sfuggirà,tralasciando, il poeta nella "apocalittica vita quotidiana",zeppa di patemi e solitudine interiore, la solitudine della mente e dell'animo secco che alcuna cosa riuscirà a reperire, se non le frivole nefaste terrene, che lo assilano alienandolo in sè,nella sua "Aura mentis",unico strumento di salvezza.» |
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