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«Questa poesia, che scrissi quando avevo trentun anni di età, è praticamente l'ultima di una serie di un centinaio di composizioni in versi liberi che avevo buttato giù dall'età di diciassette anni (e sette mi furono anche pubblicate, gratuitamente, da una rivista romana, diretta dall'allora abbastanza conosciuto Pietro Cimatti) . "Emme" costituisce per me un confine, un limite oltre il quale, per tanto tempo, trovai il vuoto, il foglio bianco mallarméano (mi dedicai a varie letture e a ricerche linguistiche che ho qui nel sito riassunto nei tre raccontini intitolati "A un congresso di linguistica") . Poi, d'improvviso, dopo più di vent'anni (a parte dei rarissimi tentativi azzardati nel frattempo), mi svegliai una mattina scoprendo di scrivere in modo diverso, secondo i canoni della poesia (più o meno) classica, ai quali ho ormai abituato i miei pazienti lettori del sito. Credo che sia sostanzialmente un fatto di età. Col passare del tempo si attenuano alquanto le illuminazioni rimbaudiane tipiche della gioventù, e le idee vengono fuori con maggiore razionalità, forse meglio se inquadrate in schemi prestabiliti, se sorrette dalle stampelle delle regole (almeno metriche) che aiutano a proseguire con più sicurezza il cammino poetico intrapreso.» |
Inserita il 19/04/2014 |
Indomita e scarlatta colloquiavi
come la notte,
lucente d’acqua persa in un miraggio
dorato.
Venuta,
l’alba traeva immagini
d’acanto
(lo smeraldo riflesso ai dolci piedi).
Ben venga nudità,
purpureo lume:
la sorella rinata,
diafana, lattea, trasmigrante,
dei fiori morti l’ultimo
riposo boccheggiante.
E più oltre marine senza mire,
barlume fuorviante,
lussureggiante dimora
dei miei pensieri accanto
all’ara tribolante
dei tuoi veli. |
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«Voglio proporvi, eccezionalmente, questi versi ermetici (o pseudoermetici) scritti nel lontano 1982, per una donna piuttosto trasgressiva; a me non piacciono più (non so a voi).» |
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