Seduto sull’uscio di casa, come accadeva in quei pomeriggi estivi nella casa a corte della nonna, le cicale e il bianco accecante della calce che imbianca i muri fatti di pietre messe una sull’altra: tutto concorre alla vista dell’invisibile che dilaga.
Una vocina piccola piccola di una bambina che chiama il suo cane, che lo incita a portarle qualcosa, il suono delle campane e l’aria calda che s’infila dalla porta, tutto insieme come se fosse un film, come se fosse una storia che si ripete da chissà quanto tempo e che non ne vuole sapere di farla finita.
“E’ un cerchio!” la voce di quella ragazza bruna mi sveglia dai pensieri, “sì, è una circonferenza che non ha mai fine se non al suo inizio, come la ruota che scorre su se stessa macinando chilometri”… Io la ascolto ma non capisco. Maria parla di un cerchio? Ma a che cosa si riferisce?
L’ho incontrata a Tricase, in un Bar. Maria è bella, ha lo sguardo profondo delle donne arabe che fa da cornice alla sua parlata salentina stretta. Parlammo un po’ e poi, come se mi conoscesse da sempre, mi disse che voleva fare il bagno. Si infilò nella mia auto e quando giungemmo a Marina Serra la vidi immergersi in quell’acqua cristallina, io dagli scogli la guardavo e rimasi stregato dai suoi occhi neri, da qual corpo che conteneva quello sguardo e da quel suo pensiero così tenero, affettuoso, soffice che avrebbe segnato il resto della mia vita.
Poi viene sera, le luci delle stelle illuminano microscopici punti nel cielo e la mia mente viaggia verso quegli odori di macchia mediterranea che accompagnarono i miei primi amori. La bocca che si unisce all’anima e gli occhi chiusi…. l’eccitazione che sale sino a divenire insopportabile e gli occhi con le mani che affondano dentro di lei.
“Andiamo a Lecce?” la domanda di Maria rimbalzava tra i muri della stanza e i suoi occhi mi frugavano dentro come le mani della ragazza della mia adolescenza, ed io, ora come allora, inebriato da quell’emozione, la guardai come mai prima d’allora.
Io e Maria, l’imbarazzo dilagava nella stanza, noi al centro annegati dal desiderio, presi l’uno dall’altra in quell’istante che non aveva nulla che potesse definirsi spazio e tempo eravamo divenuti l’infinito.