Sparecchiai la tavola una sera di luglio, tolsi i bicchieri di cristallo e le posate di porcellana, guardai la luna piena nel cielo intessuto di stelle e spensi le candele che dentro al candelabro di ottone ancora erano calde di fuoco: " Fumavano tranquillamente fumo bianco ". Cucinavo quasi sempre cibo per l’ anima, come ingredienti ci mettevo semi d’ amore e pazienza, anche se negli ultimi tempi mangiavo solo dolore e spaghetti. Solo qualche bacio negli ultimi tempi mi metteva una soffiata di felicità, poi, poi nulla che accarezzasse teneramente il mio viso, né mani, né pensieri; Eppure ci mettevo tanto amore nel cibo che portavo nella bocca di Lei, " Bocca che si apriva avida alla vista delle polpette d’ amore." Sparecchiai la tavola con un dolore lancinante al petto quella sera, non mi andava di commiserarmi, né di osservare la luna da solo. Accesi una stella nel mio cuore, pensai che mi avrebbe fatto luce nell’ oscuro dolore. Lei, non era venuta quella sera a cena, si era stancata di mangiare polpette condite con sugo d’ amore; questo mi faceva rabbia anche perché lei non mi aveva nemmeno avvisato che non sarebbe più venuta, anche se l’ ultima volta che era stata a tavola con me c’ erano segni premonitori, aveva infatti insistito per portarsi via un lenzuolo ricamato con il suo cuore." L’ amore certamente è cosa strana, è come i voli degli uccelli che attraversano lunghe distante per riconciliarsi con se stessi costruendo poi nidi d’ amore, ma a volte è il contrario di ciò, nega, si proietta al di fuori del nido tra cieli piovosi alla ricerca semplicemente del genitore mai introiettato in un complesso Edipico eterno, quale, rende poca giustizia a Cupido. Pazienza mi dissi, mi abbandonai in nudità sotto i caldi raggi della luna che tonda rideva nel cielo dell’ accaduto, sembrava che volesse parlarmi. Stavo male davvero, ma sapevo anche di avere scorte d’ amore nella credenza dentro di me. Mi addormentai con il cupo dolore della separazione, la luna rideva nel buio del cielo. Sparecchiai in fretta la tavola dove servivo amore.
Ho sparecchiato la tavola,
ho spento le candele,
l’ illuminata luna mi tiene compagnia. Ho tolto i bicchieri di cristallo e le posate di porcellana. Mangiavo poco già da tempo, mangiavo dolore insieme agli spaghetti, solo qualche dolce bacio mi metteva di buon umore. Con la cucina del cuore preparavo buoni sentimenti, cibo d’ amore portavo nel tuo piccolo cuore e nella tua bocca rossa. Non importa, resterò solo ad osservare le stelle intessute nel manto oscuro del cielo; Metterò una tovaglia per un solo posto e non accenderò alcuna candela dentro al mio cuore. Come una torre colpita da una palla di cannone, mi sono scomposto nei miei mattoni. Come l’ eclissi della luna, ho l’ anima oscurata! Come chi attende di guarire da una brutta malattia vaneggio, navigo in attesa della guarigione. Attendo che il ghiaccio che copre la mia anima si sciolga, come una bambino smarritosi nella più cupa tristezza mi avverto, non ci sono strade da poter condurmi alla serenità, come le grosse maree i sentimenti straripano, l’ anima è sabbia sparsa. La mattina seguente di buon ora partii per un lungo viaggio dentro di me ...
Mi ritrovai nella casa di dentro. Apparecchiai la tavola, mi sedetti stanco, attesi lo straniero che ero, arrivò presto lo sconosciuto tra il fumante profumo del cibo; Ci abbracciammo e raccontandoci di noi mangiammo ciliegie e semi d’ amore seduti entrambi sopra la stessa sedia, condividemmo di noi dolore e gioie, amori e passioni, felicità brevi, pene e dolori. In’ ultimo, stanchi, accendemmo una nuovo candela interiore, o meglio, quella dell’ amore vero, questa, non era la solita candela, ma quella grande, quella che si accende quando siamo pronti per il grosso salto del sentimento; Sentimento che ci porta poi all’ amore universale e non più a quello singolo o individuale. |
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