I titoli dei libri sono un po' come i nomi propri delle persone: dovrebbero racchiudere in poche parole, in modo accattivante e significativo, l'essenza del libro stesso.
Quante volte, a causa del rispetto di una tradizione di famiglia, i genitori danno ai figli dei nomi che poi, appena possono, i figli stessi mutano in uno pseudonimo che sentono più vicino alla loro personalità! (Così, dalle mie parti, ad esempio, tante "Carmela" diventano "Melania" , conservando comunque nel nuovo nome il "cuore" della "mela" ! )
Ma i libri non possono certo cambiarsi il titolo da soli, e si può ipotizzare che alcuni buoni romanzi abbiano avuto un successo inferiore al loro valore a causa di un titolo poco seducente.
Confesso che ho comprato alcuni libri proprio perché attratto dai loro titoli, scoprendo magari solo in seguito l'argomento del quale trattavano. Mi soffermerò brevemente su alcuni volumi presenti nella mia biblioteca.
Quando comprai "Il fumo vi fa bene" (traduzione di "Smoking is good for you" , di William T. Whitby , edizioni Rizzoli) ero convinto di avere acquistato un libro che, con ironia, stigmatizzasse il vizio del fumo, scoprendo invece poi che il medico australiano che l'aveva scritto credeva veramente, con tanto di dati scientifici a corredo, negli effetti medicamentosi del fumo di tabacco.
"La solitudine del piacere" , se non si riflette un po', dà l'impressione di trattare del noto "piacere della solitudine" ; in realtà questo libro (edito da Raffaello Cortina, e tradotto dal tedesco "O Wollust, o Hölle" , di Ludger LÜtkehaus) è una dotta ma scorrevole dissertazione sulla storia della masturbazione, con un notevole apporto di brani scritti da romanzieri, filosofi, ecclesiastici e psicologi che se ne occuparono, chi da accusatore e chi da difensore di questa pratica.
Che ne sarebbe stato del secondo tomo della "Recherche" proustiana, "A l'ombre des jeunes filles en fleurs", se esso si fosse chiamato, più semplicemente, magari "Les filles que j'ai connues" ? Si sarebbero persi, fin dal titolo, sia il profumo delle "fleurs" che la condizione di starne all'ombra.
"Il Castello" è, secondo me, il miglior romanzo di Franz Kafka, ma il titolo in italiano, con quel nome che, pur giustamente tradotto, ha un che di troppo fiabesco e dolce, non ne rende bene l'idea; pur conoscendo alquanto vagamente il tedesco, sentii il bisogno di mettere al suo fianco l'edizione originale, "Das Schloss" , il cui nome corposo, pesante e duro rende assai meglio l'idea dell'inaccessibilità di quel luogo, sia esso il simbolo di un potere statale accentratore o di qualche lontana e misteriosa divinità.
"Contro-passato prossimo" , di Guido Morselli, fantastica sulla storia fatta con i "se" e con i "ma" (la Triplice Alleanza avrebbe vinto la prima guerra mondiale se il progetto di un ufficiale austro-ungarico fosse andato in porto, con tutte le conseguenze che ne sarebbero derivate) ; ogni volta che lo guardo, penso anche a quale direzione avrebbero preso le nostre storie personali, se qualche particolare apparentemente insignificante avesse avuto un peso diverso.
Potrei continuare (dilungandomi, ad esempio, su "Roma senza papa" , sempre di Morselli, "Il Resto di Niente" , di Enzo Striano, "La solitudine dei numeri primi" , di Paolo Giordano, "Voyage au bout de la nuit" , di Céline, o "Du plus loin de l'oubli" , di Patrick Modiano) , ma non voglio tediare ulteriormente i miei non molti ma molto pazienti lettori, e aggiungo soltanto che cerco (non riuscendoci quasi mai) di trovare anch'io il titolo più appropriato per le mie modeste composizioni poetiche; spesso esso, dopo molte esitazioni, si presenta improvvisamente, quando la poesia è già conclusa. Per finire, tra i miei raccontini, quello che ha avuto decisamente più successo sul sito è "La moglie, l'amante e la prostituta" : se l'avessi intitolato soltanto "Tre lingue" (è di tre lingue che si occupa) , il risultato sarebbe stato lo stesso?