- Maestro, Terracciano sta scrivendo cose su un foglio, si sta distraendo!
A. P. era senz'altro l'alunno più bravo, in quella classe del secondo ciclo della scuola elementare (io ero talvolta il secondo, talaltra il terzo) .
Il maestro C. P. , ormai alle soglie della pensione, venne prontamente a sequestrarmi il foglio, forse un tantino imbarazzato per dover rimproverare un alunno come me, che non creava praticamente mai problemi. Gli diede un'occhiata dapprima distratta, ma poi esclamò, ad alta voce:
- Ma questa è una poesia! Ed è anche bella! Quanto sono contento di avere un alunno poeta! Alla fine dell'ora la farò vedere al direttore!
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Da allora non ho più il testo di quella poesia. Ricordo vagamente che si riferiva ad una bambina che io volevo sposare, cui volevo mettere l'anello all'anulare, mentre gli uccellini cominciavano a cantare...
Chi era quella bambina? Forse una ragazzina francese che, provvisoriamente, abitava poco lontano da me, nello stesso rione di case popolari che il regime fascista, poco prima della guerra, aveva costruito nella mia cittadina, in occasione dell'apertura di un grosso stabilimento industriale.
Quando ero bambino, l'Italia collaborava con la Francia per produrre un modello di automobile, e lo scambio di personale non era infrequente (un fratello di mia madre restò, a sua volta, quasi un anno a Parigi) .
La bambina e la sua famiglia non erano quindi i soli francesi nella mia cittadina, e la mia nonna pesarese era diventata un po' amica di un'anziana signora d'Oltralpe. Un giorno (frequentavo sempre la scuola elementare) la madre di mia madre mi portò a fare una passeggiata. Incontrammo l'anziana francese, e mia nonna, che talvolta era portata a dire anche ciò che non conosceva bene, a ingrossare un po' le cose, "tant par dèi un po' d' culór" , fece un'osservazione sulla parentela tra il dialetto pesarese e la lingua francese: "Anche noi a Pesaro diciamo, come voi, 'pèn' , 'vén' , 'mnèstra' " .
Non conoscevo allora il francese, ma, sia per lo sguardo perplesso di quella signora alla pronuncia della terza parola, sia perché mi suonava male, tornando a casa dissi: "Nonna, credo che le prime due parole andavano bene, ma la terza no! " . "Mo' sé, tant quéla l'an capisc un cazz! " fu la risposta sbrigativa di mia nonna. (Chi era nato nella povera e un po' cinica Pesaro della fine dell'Ottocento - pare che allora, alla morte di una donna, qualcuno del popolo avesse l'abitudine di dire: " 'Na putèna d'manch! " , e a quella di un uomo: "Un fiól d'putèna d'manch! " - ed aveva girato mezza Italia, al seguito della famiglia e del marito alla costante ricerca di un lavoro da operaio specializzato meglio retribuito, non poteva permettersi eccessive raffinatezze! )
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Che fine avranno fatto quella poesia e quella bambina? La poesia (della quale il giorno seguente non si parlò più) sarà stata letta veramente dal direttore? E la bambina, tornata poco dopo in Francia, si ricorderà ancora, adesso, dei sorrisini che mi faceva quando passavo sotto il suo balcone con la mia piccola bicicletta? Con certezza so soltanto che il maestro C. P. è morto, quasi centenario, non molti anni fa, e che il compagno di classe A. P. , trasferitosi nella grande città (della quale, del resto, era originario) , intraprese con successo la carriera di bancario.