« Buongiorno ragazzi!» salutò la giovane maestra entrando nell’ aula.
« Buongiorno, signora maestra!» risposero in coro gli alunni della terza classe elementare alzandosi in piedi.
« Bene! Ieri vi avevo promesso una lezione straordinaria per oggi e vorrei mantenere la mia parola. Se volete, faremo un bel viaggio nel mondo antico per conoscere le meraviglie costruite a quei tempi. Per fare questo, però, non dovremo muoverci ma usare la fantasia e, inoltre, avremo bisogno di una guida particolare e all’ altezza del compito. Siete d’ accordo?»
I ragazzini avevano ascoltato con attenzione, entusiasti di quella novità, per cui risposero convinti: « Si, signora maestra!»
« Bene! Allora chiudete gli occhi e concentratevi.»
Gli alunni ubbidirono ma, dopo pochi secondi, i più impazienti iniziarono a mormorare tra loro: « Io non vedo niente e tu?»
« Io nemmeno. Ma cosa dovrebbe accadere?»
« Sst! Fate silenzio e concentratevi, altrimenti non potrete vedere la vostra guida.»
Nell’ aula calò un silenzio profondo, rotto solo dal respiro degli alunni. Per un po’ non accadde nulla, poi, improvvisamente, nella mente di ognuno di loro e accanto alla figuretta snella della maestrina, si delineò una strana, allampanata figura.
« Oh!» mormorarono alcuni scolari e quell’ esclamazione di meraviglia indusse tutti gli altri a riaprire gli occhi.
« Oh!» fu ancora l’ unanime commento di stupore.
Quella che prima era stata solo un’ ombra scaturita dalla fantasia sfrenata degli alunni stava lentamente delineandosi, prendendo consistenza e tramutandosi nel buffo personaggio che, in pochi secondi, apparve chiaro vicino alla maestrina.
« Ragazzi, alzatevi e salutate la vostra nuova guida, nonché insegnante di storia e mitologia: il signor Cicerone Latino.»
« Che strano nome!» sussurrarono alcuni. « Che buffo!» mormorarono altri, ma tutti si alzarono, esclamando all’ unisono: « Buongiorno e benvenuto signor Cicerone!»
Il bizzarro e buffo ometto, esile e allampanato incalzò un monocolo sull’ occhio destro e con quello li squadrò a uno a uno con cipiglio grave. I ragazzi scrutarono stupiti l’ oggetto sconosciuto e, nello stesso tempo ebbero modo, a loro volta, di studiare il nuovo arrivato.
Il misterioso personaggio era alto e magrissimo, tanto, da ricordare un lampione di quelli che illuminano le strade; aveva un naso sottile e lungo, molto adatto al viso altrettanto sottile e due sopracciglia folte e cespugliose, che sottolineavano occhi scuri come la pece. L’ uomo si tolse il buffo e desueto cappello a cilindro dalla testa scoprendo così un ciuffo di capelli bianchi e ribelli, che completava un quadro somigliante a una caricatura o a un personaggio scaturito dalla fantasia di un noto fumettista. Cicerone indossava anche un completo grigio- fumo fuori moda e un paio di scarpe enormi, adatte alla sua notevole statura.
I ragazzini rimasero intimiditi e soggiogati dall’ aspetto serioso e d’ altri tempi dello sconosciuto apparso come per magia tra di loro.
« Bene!» iniziò a dire l’ uomo con un timbro di voce basso e profondo, poi si schiarì la voce: « Ehm…» e riprese, questa volta, in falsetto: « Cari ragazzi…»
Il cambiamento di tono risultò talmente ridicolo, che gli alunni scoppiarono a ridere.
La maestra intervenne e li riprese: « Smettetela subito e comportatevi bene!» ordinò contrariata dal comportamento dei suoi scolari.
Ma il signor Cicerone obiettò: « No! No! La prego! Lasci che ridano. Sono belli i bambini che si divertono. Volevo dirvi che potete chiamarmi semplicemente Cicero, se volete. D’ accordo?»
« Siiii.» fu la risposta cantilenata.
« Ed ora è giunta l’ ora di spiegare cosa faremo e cosa vedremo. Siete pronti per viaggiare con la fantasia, fanciulli?»
I fanciulli in questione sgranarono gli occhi, un po’ per lo stupore e un po’ per il termine desueto usato dal maestro.
« Siete pronti?» ripeté ancora Cicerone.
Allora risposero in coro: « Sì!»
« E lei è pronta, signora maestra?»
« Si, certo!»
« Allora, vi spiego. Per poter vedere le cose che voglio mostravi, dovete chiudere gli occhi.»
I ragazzi sghignazzarono e un’ alunna alzò una mano.
« Dimmi, pure.»
« Com’è possibile vedere se gli occhi sono chiusi?»
« Giusto! Domanda pertinente. La spiegazione sta nel fatto che non dovremo vedere con gli occhi ma con la mente e con il cuore. Il nostro sarà un viaggio di fantasia nel mondo antico ed è questa la differenza. Mi sono spiegato bene?»
Ci fu qualche perplessità da parte degli alunni ma, poi tutti accennarono di sì.
« Bene. Allora chiudete e gli occhi e potrete così vedere quel grande e soffice tappeto disteso in giardino. Ebbene, sappiate che quello è un tappeto volante. Ognuno di noi ci si accomoderà sopra e dopo esserci presi per mano voleremo. Non avete paura di volare, vero?»
Qualche bambino sgranò gli occhi intimorito dalla novità e il tappeto scomparve per incanto.
« No! No! Gli occhi devono sempre rimanere chiusi, altrimenti il nostro volo si fermerà. Tornate a concentrarvi e se avete paura stringete la mano del vostro compagno e vi posso garantire che nulla di male vi accadrà. Del resto, avrete sempre la possibilità di riaprire gli occhi, ma sarebbe un vero peccato se lo faceste, perché così non potreste vedere da vicino le Sette Meraviglie che voglio mostrarvi.»
I ragazzi ubbidirono e il Tappeto magico riapparve.
In file ordinate di due presero posto con Cicerone davanti e la maestra per ultima.
« Ecco, possiamo prendere il volo e come prima tappa la piramide di Cheope in Egitto.»
Mentre iniziavano a sentirsi sempre più leggeri, il mondo reale intorno a loro sfumò fino a scomparire. Poi si delinearono immagini evanescenti di una grande distesa di sabbia e grandi colline polverose.
« Siamo sul deserto del Sahara ragazzi.» spiegò la voce di Cicerone. « Tra poco sorvoleremo la Valle dei Templi, il luogo dove venivano sepolti i grandi regnanti dell’ antico Egitto chiamati Faraoni e i templi dedicati alle varie divinità. Vedete quelle colonne alte, alte? Si chiamano obelischi e venivano scolpiti in un unico blocco mastodontico di granito.»
Gli alunni guardavano con stupore l’ immensa distesa di sabbia, gli obelischi e le rovine delle antiche costruzioni. Poi, Cicerone Latino indicò un altro punto: « Vedete quel serpentone di acqua che sembra non avere mai fine? Ebbene, quello è il Nilo, il fiume più lungo del pianeta. Ma se guardate alla vostra destra potete ammirare la prima delle Meraviglie che voglio farvi conoscere: la Piramide di Cheope fu eretta intorno al 2560 a. C. e in origine era alta, all’ incirca, centoquarantasei metri.»
« Cheope?»
« Cheo- pe! Capisco che essendo nomi appartenenti a un’ altra cultura possano suonare difficili, per questo motivo da ora in poi ve li scandirò, ragazzi.»
« Ma là vi sono altre due piramidi, signor maestro!» esclamò una ragazzina indicando in basso.
« Vero. Ve ne sono altre due, ma meno importanti della prima. Sono quella del faraone Micerino e del faraone Chefren. Che- fren.»
« Maestro Cicero, scusi, ma quella statua che si vede laggiù, anche quella fa parte di questa meraviglia?» domandò un ragazzino.
« Quella è la statua della Sfinge e fa parte dello stesso complesso archeologico, ma ora dobbiamo volare ad ammirare il Tempio di Zeus a Olimpia. Giove, il padre di tutti gli dè i.»
« Zeus o Giove, maestro?» domandò un puntiglioso ragazzino.
Cicerone sorrise: « Zeus per la mitologia greca, Giove per quella romana. Ma ora guardate, siamo arrivati nell’ antica Olimpia e quella che vedete laggiù è la seconda Meraviglia. Avviciniamoci, così da poterla vedere meglio.»
« Oh… ma è enorme maestro Cicero!»
Ancora una volta la guida sorrise per l’ abbreviativo dato al suo nome: « Dodici metri di altezza. L’ opera è dello scultore Fidia che l’ ha portata a termine nel 534 a. C. Non trovate che sia imponente?»
« Grandiosa.» rispose la maestrina, rimasta senza parole fino a quel momento.
« Vi piace volare su questo tappeto, bambini?» volle sapere Cicerone.
« Sì!» fu la risposta unanime.
« Ebbene, allora voliamo verso l’ antica Babilonia, Ba- bi- lo- nia, famosa anche per la Torre di Babele e ai nostri tempi nota come Iraq, la cui capitale è Bagdad.»
« Bagdad! La favola delle Mille e una notte!» esclamò un alunno.
« Aladino e Sherazade!» disse invece una ragazzina con sguardo sognante.
« Certo! Una fiaba davvero suggestiva, tanto, quanto quella che riguarda la Torre di Babele. La leggenda narra che nell’ antichità si parlasse un’ unica lingua su tutto il pianeta. Babilonia, a quei tempi, era abitata da personaggi fantasiosi e geniali che, con le loro costruzioni, ambivano ad arrivare fino al cielo. Quella che doveva essere semplicemente una torre finì per diventare quello che oggi definiremmo un grattacielo. Ebbene, gli addetti ai vari piani persero il contatto tra loro e, col passare del tempo, finirono per comunicare in modo diverso e a non comprendersi più. Nacquero così le molteplici lingue parlate nel mondo.»
I ragazzini avevano ascoltato con attenzione.
« Una storia bellissima, quanto quella di Aladino!» commentarono tra loro.
« Sì, ma noi siamo qui per ammirare i Giardini Pensili di Babilonia. Guardate che splendore, ragazzi.»
Sotto lo sguardo incantato degli alunni iniziarono a scorrere immagini paradisiache: costruzioni a gradoni piramidali intervallati da colonne e arcate sapienti, ma soprattutto giardini e terrazze adorni di verde, di piante e di fiori dai mille colori. Un geniale sistema di condotte, fontane e ruscelli a cascata, contribuiva a rendere unici e inimitabili i giardini pensili della città.
« Meritano di essere annoverati tra le Sette Meraviglie del mondo antico. Non trovate? Memorizzate queste immagini, perché vi colmeranno la mente di armonia e serenità ogni volta che le ricorderete.» concluse Cicerone Latino.
La visione dei Giardini Pensili rimase impressa nel cuore e nella mente dei ragazzini sempre più entusiasti del fantastico viaggio: « Sai maestro? Io rimarrei qui per sempre!» esclamò una ragazzina innamorata dei fiori e della natura.
Cicero annuì: « Sono d’ accordo con te. Anche io adoro i luoghi ameni come questo.»
« E ora dove ci porti, maestro Cicero?» tagliò corto un altro.
« Voliamo ad ammirare un vero gigante: Il Colosso di Rodi. Sapete dove si trova Rodi, ragazzi?»
« No signore. Non l’ abbiamo ancora studiato. In quale parte del mondo si trova?»
«È un’ isola del mar Egeo ed è conosciuta come l’ isola delle rose. Un bel titolo, non vi pare?»
« Bellissimo! Ma non esiste una leggenda anche su Rodi?» domandò un allievo più curioso degli altri.
« Certo che c’è. Si narra che Giove decise di dividere le terre del pianeta tra tutti i suoi figli e Apollo, Helios per i greci, nel momento della spartizione assente, quando tornò e seppe che ogni fratello e sorella aveva avuto in dono una porzione di pianeta, si arrabbiò e protestò con il padre. Per fortuna, proprio in quel momento, dalle profondità marine stava sorgendo una meravigliosa isola e Apollo, che se ne innamorò all’ istante, domandò al padre di donargliela. Giove gliela concesse e Apollo divenne il signore e il protettore di quella splendida terra, che irradiata dalla luce e dal calore del suo dio, diventò ben presto la più prospera e la più fiorita di tutte le altre. E forse, proprio da quella leggenda ne viene il titolo con cui è conosciuta.»
« Anche questa fiaba è molto bella!» sospirò una ragazzina alla compagna al suo fianco.
« State zitte! Il signor Cicero ci deve ancora raccontare del gigante. Ascoltiamo il resto.» protestò uno scolaro.
Cicerone e la maestra si scambiarono uno sguardo d’ intesa. Considerato l’ interesse dimostrato dai ragazzi, il viaggio era stato un successo fino a quel momento.
L’ insegnante riprese: « Voi forse non sapete come si traduce Helios in italiano, vero? Ebbene, Helios equivale al nostro sole. Difatti, Apollo era il dio della luce e a lui venne dedicata la colossale statua alta all’ incirca trentadue metri che, si narra, adornasse l’ ingresso del porto e che, irradiasse tanta luce, da squarciare l’ oscurità della notte, proprio come un faro.»
« Che fine ha fatto la statua, maestro?»
« La sua costruzione venne terminata nel 293 a. C. e rimase in piedi per soli sessantasette anni, poi un forte terremoto e conseguente maremoto la distrussero. Alcuni marinai e pescatori raccontano che la statua è tuttora sdraiata nel fondo del mare e al suo interno hanno trovato dimora imponenti tritoni e ammalianti sirene.»
« Le sirene lo sappiamo che sono creature per metà donne e per metà pesce, ma i tritoni cosa sono?»
Cicerone sorrise: « Siete molto curiosi e ciò è un bene. La curiosità è sempre sinonimo d’ intelligenza. I tritoni sono le stesse creature sirenidi, al maschile, create da Poseidone, per noi il dio Nettuno, per salvaguardare il suo regno marino. Ma questa è un’ altra storia che, forse più tardi, vi racconterò.»
« Ci narri delle fiabe fantastiche, maestro e questo viaggio è bellissimo. Ma ora ce ne racconti un’ altra?» domandò la più piccola, con espressione sempre più trasognata.
« Certo! Ora vi condurrò al Tempio di Artemide a Efeso, in Turchia. Una bellissima terra, denominata la Porta d’ Oriente, che affaccia sul mar Nero e sul Mediterraneo.»
« Come hai detto, maestro? Arte…»
« Ar- te- mi- de. Sapete chi era? Uhm… sono quasi certo di no!» concluse, squadrandoli attraverso il monocolo.
« Comunque, Artemide era una dea bellissima e per noi è Diana, la dea della caccia.»
« Anche Diana era figlia di Giove?» lo interruppe un ragazzino.
« Secondo la mitologia, tutti gli dè i erano figli di Giove, signore dell’ Olimpo. Tutti, nessuno escluso. Dunque, dicevo… questa dea si contendeva la nomea di essere la più bella con Venere, che era già considerata la dea dell’ amore e della bellezza e tra le due giovani donne non correva certo buon sangue. Difatti, si scambiavano spesso piccoli dispetti e gesti sgarbati e capitava anche che cercassero di mettersi in cattiva luce, agli occhi di Giove, l’ una con l’ altra. Le loro urla e i loro pianti superavano il frastuono dei tuoni durante una furiosa tempesta e, un giorno, il signore dell’ Olimpo si stancò di tutto quel putiferio e inflisse loro un tremendo castigo: ordinò che venissero relegate in un’ isola lontana, legate insieme in modo indissolubile, fino a che non avessero dimostrato di sapere condividere l’ esistenza e gli spazi, senza più litigi e rancori. Purtroppo, le cose peggiorarono sempre più e il baccano provocato dalle due dee giunse alle orecchie del re Creso, sovrano di una terra vicina. Il re per qualche tempo sopportò quel caos, ma i suoi cortigiani si ribellarono e Creso fu costretto a presentare le sue lamentele a Giove.»
Cicerone fece una pausa e i ragazzini lo sollecitarono ad andare avanti.
« Perché ti fermi, maestro Cicero? Non può finire così la storia!»
« Concedetemi un po’ di fiato, ragazzi. - rispose burbero. - In fin dei conti sono anziano e ho bisogno di riordinare un po’ i pensieri. I ricordi non sempre sono vividi.» Ma con l’ ultima frase, la maestrina vide chiaramente che l’ uomo ammiccava nascondendo un sorriso.
« Uhm… sì, adesso ricordo.»
« Il sovrano dell’ Olimpo gli consigliò di costruire un tempio per placare le ire delle due giovani bellezze. Creso rifletté bene, quindi ordinò che venisse costruito un tempio colonnato talmente grande, che per le due giovani diventasse davvero difficile potersi incontrare. E così fu. La colossale costruzione era lunga centotrentuno metri, largo settantanove, con centoventi colonne di marmo bianco alte venti metri, e decorazioni di animali mitologici come cervi, grifoni e sfingi.»
« Grifoni e sfingi sono creature fantastiche come le sirene e i tritoni.» puntualizzò il saputello della classe.
« Sì – concordò Cicerone Latino - E anche di questi e del Cervo d’ Oro, vi parlerò la prossima volta.»
« Perché non ci racconti subito del Cervo d’ Oro?»
« Perché ora dobbiamo volare ad ammirare il Mausoleo di Alicarnasso, sempre in Turchia. So che è un nome molto difficile, ma ripetete con me e lo memorizzerete meglio. Mau- so- leo di Ali- car- nas- so.»
Il coro fu unanime: « Mau- so- leo di Ali- car- nas- so!»
« Cicero, ma cosa vuol dire? Che cosa è?»
« Mausolo era un antico sovrano greco. In realtà, il suo vero titolo era Satrapo. Sa- tra- po, che, come nomina, sarebbe equivalso a un odierno governatore ma, che in effetti, forse per abilità o per le qualità del soggetto in questione, acquisì i poteri e governò come fosse un sovrano. In seguito alla costruzione del tempio funerario a lui dedicato e che divenne una delle Sette Meraviglie, ogni grande sacrario prese il nome di mausoleo. Alicarnasso è invece la città in cui venne eretta questa grandiosa dimora funeraria.»
Mentre scorrevano le immagini del sito e del tempio, Cicerone riprese a parlare: « Ma ora, qualche dato essenziale per farvi comprendere la grandiosità dell’ opera: sulla base a pianta quadrata, alta ventidue metri, poggia un ampio colonnato composto da nove colonne di marmo per ogni lato. Il loggiato serviva a sostenere la copertura superiore piramidale. Pensate, la struttura completa era alta quarantadue metri.»
In seguito alla lunga spiegazione, qualche ragazzino sbadigliò, qualche altro sbuffò e Cicero capì di essersi prolungato troppo.
« Diglielo.» suggerì un allievo al suo compagno beccandosi, di conseguenza, una gomitata al fianco.
« Diglielo tu.» rimbeccò a sua volta.
« Cosa volete dirmi ragazzi?» intervenne il maestro.
Una delle ragazzine si fece coraggio e disse:
« Signor Cicero il monumento è senz’ altro interessante e grandioso, ma noi vorremmo ascoltare anche una favola che lo riguardi.»
« Bene, bene, bene!» borbottò Cicerone aggrottando le sopracciglia cespugliose e squadrandoli nel suo modo serioso.
« Ma in fin dei conti avete ragione. Siete troppo piccoli per interessarvi a questi particolari tecnici. Comunque, ora vi racconto la leggenda colma di mistero che circonda questo meraviglioso monumento ricco di statue e incisioni artistiche. Dovete sapere che la moglie di Mausolo si chiamava Artemide…»
« Come la dea figlia di Giove!» esclamò un’ alunna.
« Brava. Hai un’ ottima memoria. E ricordi anche il corrispettivo nella mitologia romana?»
La bambina rifletté un istante, poi sorrise: « Diana! La dea della caccia!»
« Bravissima. E indovinate un po’, quale era il passatempo preferito di Artemide?»
« Forse… la caccia?»
Cicerone sorrise al ragazzino che aveva risposto con fare esitante.
« Proprio così e qui arriviamo alla leggenda del cervo dalle corna d’ oro. Un giorno in cui era a caccia nel bosco, Artemide, dopo ore di appostamenti infruttuosi, intravide tra un tronco e un altro, un cerbiatto dagli occhi languidi e il manto dorato. Il cucciolo sembrava solo e la donna decise che quella, piuttosto che nulla, sarebbe stata un’ ottima preda. La cacciatrice era considerata un’ arciera provetta, dal braccio fermo e dalla mira infallibile. Difatti, non esitò un istante e dopo aver incoccato la freccia inquadrò il suo bersaglio. La corda dell’ arco era tesa al massimo, Artemide era sul punto di scagliare il dardo quando, un bagliore improvviso proveniente dalla sua destra, la distrasse. La donna si volse, cercando ciò che aveva attratto la sua attenzione, ma intorno c’ era solo silenzio e niente altro. Quando tornò a guardare verso il punto in cui aveva visto il cerbiatto, si accorse che era sparito. La rabbia le annebbiò la vista, tanto che lanciò un urlo di sconcerto e frustrazione, poi lentamente, s’ incamminò alla ricerca di qualche altra preda. Il cerbiatto incrociò la sua strada per altre due volte e in entrambe le occasioni accadde qualcosa che impedì all’ arciera di colpire il bersaglio.
La prima volta fu un lampo ad accecarla e la cacciatrice si domandò da dove provenisse, considerato che il cielo era sereno. La seconda fu una folata di vento improvvisa e violenta a deviare il suo dardo e a permettere al cucciolo di mettersi in salvo. Artemide, stanca e avvilita si rassegnò e rinunciò a ogni altro tentativo. A un tratto, il rimbombo di zoccoli che battevano furiosamente sul terreno l’ avvertirono dell’ arrivo al galoppo di un quadrupede. Allora, per evitare di essere travolta, cercò un riparo, arrampicandosi tra le fronde di un albero e in quella scomoda posizione si mise in attesa. Quando si accorse che era proprio il cervo dalle corna dorate a fermarsi sotto l’ albero e a iniziare tranquillamente a brucare l’ erbetta più verde, si meravigliò, ma non perse tempo. Cercando di non provocare il minimo rumore incoccò una freccia e prese la mira, sicura, data la vicinanza, di non sbagliare. Ma, incredibilmente quel colpo non andò a segno né tantomeno quelli che seguirono. Le frecce scoccate, sembravano essere deviate da una mano invisibile. Con enorme stupore Artemide si bloccò. In vita sua, come cacciatrice, non aveva mai fallito. Cosa le stava accadendo?
« Ti vedo stupita! Ma forse, avevi troppa fretta di uccidere!»
Quella frase buttata lì, la costrinse a voltarsi. Chi aveva parlato? Intorno non si vedeva nessuno.
« Non cercare lontano. Sono qui, proprio sotto quel ramo sul quale stai appollaiata come una civetta.»
L’ arciera scrutò con attenzione sotto l’ albero, ma trovò soltanto il cervo.
« Sì, sono proprio io.» gli sentì dire.
« Cosa? Tu parli?»
« Perché te ne meravigli? Non sai che queste corna mi donano poteri straordinari?»
« Ah, sì! Allora saranno mie.» esclamò, con gli occhi accesi dalla brama di appropriarsi di quel palco prezioso e incoccando l’ ennesimo dardo.
« Fai pure. Ma fallirai ancora.» l’ avvertì il cervo.
Artemide scoccò e la freccia venne deviata da un soffio improvviso e allora, sconcertata e depressa, si morse le labbra.
« Cosa vuoi da me?»
« Che tu ti penta del male che hai fatto finora e per aver tentato di ammazzare il mio cucciolo.»
« Pentirmi? E perché mai?»
« Perché sei mia prigioniera e non ti lascerò andare fino a che non darai la tua parola che non caccerai mai più.»
Artemide rifletté sulla sua situazione e dovette ammettere che il cervo aveva ragione: anche se non era legata si sentiva immobilizzata su quel ramo. La sensazione era davvero strana. Avvertiva dei legacci invisibili tenerla inchiodata a quell’ albero.
« Cosa mi hai fatto? Perché non posso scendere?»
« Te l’ ho detto! Sei mia prigioniera.»
Con quelle parole, sotto lo sguardo incredulo di Artemide, filamenti dorati sortirono dal palco di corna del cervo, si diramarono nell’ aria raggiungendo il tronco e avvolgendolo in una sorta di gabbia intricata.
« Ora puoi capire cosa si prova a essere considerati una preda.»
Disperata, la cacciatrice si aggrappò alle sbarre dorate scuotendole con tutte le sue forze, ma inutilmente, allora si mise a urlare: « Io sono Artemide, la moglie di Mausolo! Devi lasciarmi andare, altrimenti il Satrapo ti farà scannare!»
« So benissimo chi sei e proprio per questo ti trattengo. In quanto al governatore, credi davvero che io abbia paura di lui?» rispose il cervo continuando a brucare con tranquillità.
Intuendo che né le minacce né le urla servivano a intimorire quella arcana creatura, Artemide moderò il tono e tentò di corromperlo.
« Possiamo coprirti d’ oro. Dimmi quanto o cosa desideri di più e qualunque cosa l’ otterrai.»
« Allora non hai ancora capito! Non voglio nulla di materiale, solo una semplice e sincera promessa. Oltre le scuse, naturalmente!»
« Che cosa otterrò in cambio?»
Il cervo la guardò dritto negli occhi: « La tua vita! Non ti basta?»
Artemide rabbrividì. Negli occhi del cervo aveva letto una spietata condanna.
« Hai davvero intenzione di uccidermi?» domandò con un filo di voce.
« Ucciderti? No? Ti lascerò lassù a morire di fame e di sete.»
« Non puoi farmi questo! Sarebbe un assassinio!»
« Perché tu cosa hai sempre fatto e cosa volevi fare con il mio cerbiatto? Non volevi forse assassinarlo?»
« Ma io… io.» Artemide non riuscì a proseguire e tacque.
« La vita è sacra in ogni sua forma. Impara a rispettarla.» disse il cervo, mentre con il muso carezzava il manto del suo cucciolo che, nel frattempo, li aveva raggiunti.
Quella scena era talmente tenera che la donna si commosse: « Mi dispiace! Prometto che non caccerò più.»
Il cervo annuì: « Ricorda sempre la tua promessa. Sei libera, mia signora!»
Le sbarre che l’ avevano tenuta prigioniera si dissolsero.
L’ animale s’ inchinò, piegando i garretti e la testa, poi e in un lampo, con il suo cerbiatto sparì nel folto della foresta.
Artemide fece ritorno nella sua dimora e, nel mausoleo ancora in costruzione, volle che fosse scolpita una grande statua composta da un cervo dalle corna d’ oro, con al fianco il suo cerbiatto.
Qualche secondo di silenzio accolse la fine del racconto, poi i ragazzi si ripresero con un boato.
« Una storia bellissima!» esclamarono, battendo le mani.
Cicero annuì, poi disse: « Bene! È ora di ammirare l’ ultima delle Meraviglie: Il Faro di Alessandria. Siete pronti?»
« Noi siamo pronti, ma tu, maestro, prepara un’ altra bella fiaba come questa del mausoleo.»
Quando il tappeto sorvolò l’ isola di Pharos, il mare luccicava, emettendo bagliori argentati, che accecavano.
« Che bello!» mormorarono i ragazzini, entusiasti.
« Siamo ad Alessandria d’ Egitto e lì di fronte potete ammirare l’ ultima delle Sette Meraviglie. Qua il nostro viaggio si concluderà.» disse l’ insegnante.
« Nooo!» protestarono i bambini. « Vogliamo vedere altri luoghi e costruzioni meravigliose e ascoltare le tue fantastiche storie Cicero.»
Questa volta Cicerone si lasciò andare in una risata franca e fragorosa.
« Prima alcuni dati su questo grandioso monumento. Come potete vedere era a base quadrata e realizzato a più piani per un’ altezza complessiva di centotrentaquattro metri. La torre era sormontata da una grande statua di Poseidon, Nettuno per la mitologia romana. Pensate ragazzi che la luce emessa dalla torre era visibile fino a quarantotto chilometri di distanza. Venne costruito nel 300 a. C. e rimase in piedi per almeno sedici secoli.»
« Bellissimo, davvero. Ma ora ci racconti la leggenda che lo riguarda?»
« Come già vi accennai poc’ anzi, Nettuno, il Signore del mare, dalla schiuma della risacca creò le sirene e i tritoni, per la salvaguardia del suo regno. Sapete bene che queste fantastiche creature sono per metà esseri umani e per metà sono pesci, ma forse ignorate che hanno la prerogativa di essere magici. La leggenda narra che il loro canto abbia il potere di smuovere le acque a loro piacimento e anche quella di ammaliare gli eventuali ascoltatori. Ma ora voglio narrarvi la storia di Sirenella, una creatura appena adolescente, che, come la maggior parte dei giovani, era assai curiosa e imprudente. La sirena, nonostante i continui ammonimenti dei genitori, si ritrovò a vagabondare da sola per gli abissi marini e purtroppo, il pericolo era in agguato. Presa dall’ incanto della danza aggraziata di uno sciame di meduse, Sirenella non si rese conto di trovarsi nei territori battuti dalla piovra gigante. La mostruosa creatura si trovava a caccia e appena adocchiò la piccola sirena, pensò bene di divorarla.
« Oh no! Ti prego no, non farla mangiare!» pianse una ragazzina interrompendo il racconto di Cicerone.
Il maestro le carezzò la testolina ricciuta: « Non devi piangere! Sirenella si salverà. Contenta?»
La ragazzina tirò su col naso e sorrise.
« Bene, - riprese il maestro - Sirenella si trovò prigioniera tra i tentacoli della piovra, che la circondavano come le sbarre di una gabbia. La sirena si disperò e lamentò talmente, che il suo pianto si tramutò in una nenia modulata con armonia.
La profondità del mare ampliò quel suono trasportandolo con la corrente e, di onda in onda, finì all’ orecchio di un branco di cetacei che transitavano nei paraggi. Balenottere, orche e delfini risposero all’ accorato richiamo.
Guidati e ammaliati dal “ Canto delle sirene” i cetacei circondarono la piovra. Avvertita la minaccia, la gigantesca creatura allargò i tentacoli aprendo un varco e Sirenella ne approfittò per fuggire.
Le balenottere e le orche impegnarono in una lotta furibonda il gigante tentacolato degli abissi mentre, i delfini, scortarono la fuggitiva.
La fuga per Sirenella si trasformò in un gioco continuo. A turno cavalcò i delfini deliziandosi nelle corse sfrenate e nei salti mortali. Ma, ben presto, i giocosi cetacei si stancarono e Sirenella si ritrovò a nuotare sul fondo da sola.
Del tutto ignara del tempo che trascorreva lontana dai suoi, la sirenetta vagabondò senza una meta curiosando qua e là, fino a quando incontrò uno sciame di manta gigante.
« Me lo dareste un passaggio?» domandò, ormai stanca e con le palpebre pesanti dal sonno.
Una manta l’ annusò, poi le sorrise e si abbassò per permetterle di cavalcarla.
Sirenella si sdraiò su quel corpo agile ma possente, poi si lasciò cullare dal fruscio e dal movimento sincrono delle ali e si addormentò.
Non si sa quanto tempo dormì. Si destò per uno scrollone improvviso della manta, che la fece rotolare nell’ acqua.
« Mi dispiace piccola. Ci dobbiamo salutare perché siamo arrivate a fine corsa.»
Ancora intontita dal sonno Sirenella strabuzzò gli occhi. “ Dove mi trovo? Non ho mai visto questo posto.” si domandò, un po’ spaventata. E quanto grande fu il suo stupore quando emerse a pelo dell’ acqua. « Oh, per tutte le stelle marine! La costa!» Sirenella non si era mai avvicinata così tanto alla terraferma e non aveva mai visto coloro che la abitavano. La spiaggia era piena di bagnanti. « Esseri umani! Ma in fin dei conti, a parte la coda, non sono molto diversi da noi.» rifletté « Però loro camminano e non nuotano come noi. Quanto sono buffi! Ma come fanno a respirare?» Tutte domande alle quali occorreva dare delle risposte e Sirenella si nascose dietro degli scogli per poterli studiare non vista.
Le ore passarono e il sole tramontò. La gente pian piano abbandonò la spiaggia e solo allora la piccola sirena si ricordò dei suoi e di quanto lontana fosse la sua casa. Il faro dell’ isola Pharos si accese e un fascio di luce intermittente squarciò le prime balze d’ oscurità. Sirenella si volse per fare ritorno ma, proprio in quel momento, una piccola barca, con le lampare accese e con un giovane pescatore al timone, sbucò all’ improvviso dalla scogliera, dietro la quale si era nascosta. La sirenetta fu lesta a tuffarsi, ma non abbastanza. La lunga coda catturò il fascio di luce emesso dal faro e i bagliori emanati dalle scaglie tradirono la sua presenza.
« Cos’è quello? Un pesce enorme vicino alla spiaggia? Mai visto! Butto la rete e vedo di catturarlo.» esclamò il pescatore.
Povera Sirenella. La trappola della rete si chiuse intorno a lei e, per la seconda volta in quella lunga giornata, si ritrovò prigioniera. Inutilmente tentò di liberarsi, le maglie di metallo erano troppo fitte. Delusa, stanca e amareggiata si lasciò scivolare sul fondo della rete.
Il pescatore faticò non poco a ritirare la rete e col buio non si rese conto di cosa avesse pescato. Solo quando la luce emessa dal faro investì in pieno la barca i suoi occhi si sgranarono per la meraviglia.
Sirenella piangeva in silenzio e grosse lacrime, simili a diamanti, le scivolavano sul viso.
Il ragazzo rimase interdetto:
« Co… cosa? Tu hai la coda ma non sei un pesce!?»
Naturalmente lei non lo capì e terrorizzata si rifugiò nell’ angolo più lontano.
« Sei una… sirena?» le domandò con aria sbigottita.
Lei smise di piangere e lo guardò a sua volta. Quell’ umano era molto giovane e non aveva affatto un’ espressione ostile, anzi, le dava l’ impressione di essere una creatura molto buona.
Ma allora i suoi avevano sempre raccontato bugie a proposito di quella specie? E lo avevano fatto per tenerla lontana dal loro mondo?
Sirenella sbatté gli occhi sconcertata e inavvertitamente iniziò a cantare.
Il ragazzo, già affascinato dalla grazia e dalla bellezza della giovane sirena, ne rimase ammaliato e s’ imbambolò. Il canto della sirenetta gli lambì il cuore e i pensieri, guidandoli dove desiderava la creatura del mare. Il pescatore ebbe una visione di acque profonde, calme, azzurre e lontane e, senza parlare, si mise alla guida dell’ imbarcazione. Probabilmente, non si rese nemmeno conto di ciò che stava facendo e dove stesse dirigendo la prua, fatto sta che passò la notte a guidare con lo sguardo fisso sul viso di lei e ascoltandone il canto e solo quando il cielo iniziava a schiarire, ritornò un po’ in sé. Sirenella, esausta, aveva smesso di cantare, ormai riconosceva le onde, la corrente e la porzione di cielo a lei tanto cara. Guardò il giovane pescatore e gli pose una carezza sul viso, quindi si sporse e si lasciò cadere tra le onde.
Lui, ancora inebetito, la osservò senza avere la forza di trattenerla e l’ ultima immagine che gli rimase della sirenetta, fu la sua lunga coda che sbatteva sulle onde. Allora sentì il forte distacco dalla creatura marina appena conosciuta e già perduta.
Il giovane pescatore girò il timone e la chiglia compì una larga virata e in quel momento il vento gli portò l’ eco di una risata argentina.
« La storia è finita ragazzi!»
Qualche ragazzino sospirò, qualche altro aveva un sorrisino stampato sul viso e qualche altra ragazzina aveva lo sguardo fisso tra le onde placide, quasi che si aspettasse di vedere emergere la coda di una sirena.
« Vedo con piacere che le mie storie vi sono piaciute, ma ora il viaggio nell’ antichità è finito. Ricordatevi di me e di ciò che vi ho insegnato e studiate, studiate e studiate. Ora potete riaprire gli occhi e tornare nella vostra aula, mentre io farò ritorno nel mio mondo fantastico.»
« Ci rivedremo presto, Cicero?»
Cicerone inforcò il suo monocolo aggrottando le sopracciglia cespugliose, poi la sua espressione si addolcì e li salutò, ammiccando e con il pollice all’ insù.