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Storia di paese (La fuga) 32 episodio

Fantasy

Dopo cena zia e nipote si sedettero in veranda a godersi il fresco della sera, inebriata dal profumo dolcissimo dei molteplici fiori che abbellivano il giardino. Scambiarono solo qualche parola sul tempo e sulle coltivazioni, senza entrare in intimità, il loro rapporto era solo formale, in realtà non conoscendosi non provavano nessun affetto, anzi Carolina odiava quel nipote che secondo lei gli aveva rubato tutto. Intanto Liborio, soddisfatto che si era riappacificato con la madre, aveva mangiato con gusto il piatto che lei stessa gli aveva preparato. Lui non sopportava essere in contrasto con la mamma nemmeno per un giorno.

Subito dopo, stanco si ritirò nella sua stanza, si sdraiò sul letto aspettando che arrivasse il sonno, nel mezzo della notte avvertì delle forti fitte all’ addome, si alzò di scatto contorcendosi per il dolore, la fronte imperlata di sudore e i conati di vomito che lo sfiancavano, cercò di arrivare alla porta per chiedere aiuto, ma non riusciva a vedere bene, tutto intorno gli oggetti sembravano muoversi ed essere lontani, infatti quando si avvicinava alla porta, non era dove pensava che fosse ma dall’ altra parte della stanza.

Nel frattempo nella sua testa cominciavano a materializzarsi delle figure mostruose, spettri senza testa e con le gambe a penzoloni. La sua mente non capiva cosa le stesse succedendo, i pensieri si confondevano con la realtà, cercava di afferrare quello che gli si parava contro, ma le mani stringevano il vuoto. Improvvisamente tutto gli girò intorno, la casa girava, gli oggetti giravano, impotente gli sembrava di essere al centro di un vortice che gli impediva di fermarsi, poi un ultimo spasmo, il più forte e restò così, con la bava che gli scendeva dalla bocca, gli occhi pieni di terrore… e il suo cuore smise di battere.

La marchesa si era trattenuta un po’ di più con il barone per far sì che l’ erba facesse effetto, poi risalì in camera che si trovava alla fine del lungo corridoio, lontano da quella di Liborio e attese che gli eventi precipitassero. Ma stranamente non sentiva nulla, pensò che forse aveva sbagliato la quantià e ne avesse cucinato poco… restò sveglia tutta la notte per poi addormentarsi quasi all’ alba.

La mattina dopo, Don Vincenzo aspettava che Liborio scendesse per fare il solito giro nei campi e non vedendolo mandò Cicca a chiamarlo.

Le urla squarciarono il silenzio della casa, la povera donna, dopo che aveva bussato e chiamato l’ uomo più volte, senza ottenere alcuna risposta, si era permessa di aprire la porta. Ai suoi occhi era apparsa una scena terribile, Liborio morto, coperto di vomito e con la bava alla bocca, la sua pelle era diventata nera per il veleno. Urlò in modo disumano facendo accorrere la marchesa e il barone, Carolina si tappò la bocca per non gridare mentre il barone incredulo guardava Liborio senza capire la causa della sua morte.

Carolina intanto ripeteva nella sua mente in modo ossessivo: “ Nun vulia chistu… nun vulia chistu…”

In quel frangente cercava di mantenere un atteggiamento distaccato per non fare accorgere il suo grande turbamento. Don Vincenzo disse che dovevano avvisare il medico per stabilire la causa della morte e quindi chiamò Filici, un uomo al suo servizio da molti anni e lo mandò in paese a prendere a Don Raffaele.

Dopo circa un’ ora arrivò il vecchio medico, il quale rivolgendosi al barone disse: “ Chi à utru jè successu? Nun si po’ stari pi paci pi chistu paì si.”

Il barone gli fece vedere Liborio, il medico dopo aver esaminato il cadavere fece le sue valutazioni dicendo: “ Jè mortu abbilinatu… Cù osa avi manciatu assira?”

Cicca a quel punto anche se in tutti quegli anni non era mai intervenuta in nessun caso, perché non le era permesso, disse: “ Avi manciatu a vurraina chi avi fattu a marchesa…”

Tutti si girarono verso Carolina, lei non si aspettava l’ intervento di Cicca e fu presa alla sprovvista ma riuscì ugualmente a dare una risposta plausibile:

” Jè veru, avi attruvatu a vurraina e pi arringrazziari Liborio, l’ avi preparata pi iddu.”

Il medico allora disse: “ Po ì esseri capii cù osa jè successu, pi sbagghiu aviti fattu mancià ri a Liborio a mandragora chi si confonde cu a vurraina?”

Carolina esclamò: ” Iu sugnu stata? Maronna Biniditta, pù overu omu? Ma iu nun u sacciu comu jè potuto succedere.”

Il medico aggiunse che avrebbero dovuto avvisare i carabinieri perché era stata sempre una morte per avvelenamento anche se non volontario.

La donna aveva la netta sensazione che il cerchio si stava chiudendo, e tutti i suoi sforzi sarebbero andati perduti. Doveva prendere una decisione alla svelta su cosa fare prima di precipitare anche lei all’ inferno. I carabinieri non tardarono ad arrivare, il maresciallo insieme a Privitera, Costa e Finocchiaro… Interrogarono i presenti, tutti dissero ciò che sapevano cioè praticamente quasi nulla, quando stavano per andar via all’ improvviso Cicca disse: “ Marescià, iu nun pozzu cchiù tacere, haju parrari…”

Don Vincenzo la guardò sorpreso, pensando a cosa potesse sapere Cicca che a lui era sfuggito. Questa continuò: “ Liborio jè figghiu ri Carolina, nun iè vì eru?” E si rivolse alla marchesa, questa cercò di difendersi: ” Ma chi rici, si sulu ‘ na povera pazza.”

Cicca non si perse d’ animo anche se era la sua parola contro quella della marchesa: “ Iu u giuru supra i morti mia…”

Ormai era in trappola e doveva accettare la sconfitta ma non sarebbe uscita di scena senza un ultimo atto estremo… Disse: “ Beni, jè vì eru! Liborio jè figghiu mia e ri Don Ugo… quinni tu si so frati”

Esclamò a gran voce rivolgendosi al nipote. Don Vincenzo non riusciva a credere a quello che aveva sentito, era stato ingannato per anni da Liborio senza mai essersi accorto di nulla. Poi la marchesa continuò nella sua delirante confessione, gli omicidi, i tradimenti e anche molto altro. Ai carabinieri non restò molto da fare che procedere con l’ arresto ma lei chiese se poteva andare in camera per prendere le sue cose. Le fu concesso e mentre Costa stava alla sua porta lei entrò… Aspettò per un bel po’, dopo insospettito cominciò a chiamarla: “ Marchesa avi finitu?”

Non ottenne alcuna risposta, allora allarmato spalancò la porta ma la stanza era vuota e della donna nessuna traccia. Si guardò perplesso attorno, ma era completamente sparita, inghiottita dalla terra… Si precipitò dal maresciallo raccontando l’ accaduto, tutti ritornarono nella camera di Carolina e ispezionarono ogni angolo della casa ma senza risultato. Nel frattempo la marchesa stava dicendo: “ Spicciati, a pignatta si jè rutta, avimu ri pà rtiri, spicciati… pi primura…”

Il carro si avviò lungo una strada di campagna fra aceri, pioppi e sambuchi, per poi sparire dietro una collina diretto lungo la costa.

Calogero era fuori di sé, farsi scappare sotto i suoi occhi un’ omicida, così pericolosa, urlava con i suoi subalterni: “ Ma comu cazzu aviti fattu pi fari fuirisinni ‘ na fimmina, masculi sì enza baddi…”

E continuò con questo tono. Antonino risentito avrebbe voluto rispondere ma non poteva ribattere ad un superiore, comunque non si sarebbe arreso, avrebbe continuato le ricerche da solo, partendo da dove era scomparsa, cioè la sua stanza. Don Vincenzo era sempre più disorientato, aveva scoperto delle verità incredibili, l’ omicidio di sua madre, la relazione del padre con la cognata, il fratellastro e poi ancora la morte di Totuccia, Saro, Munidda e Ninetta e ancora non si sapeva che fine avesse fatto il figlio. Si sentiva in colpa per tutto quello che era successo, Carolina aveva agito solo per vendicarsi di lui.

E adesso quella donna malvagia non si sa come, era riuscita a fuggire e poteva ancora fare del male, era necessario trovarla per rinchiuderla per sempre in galera e lì lasciarla marcire.

Intanto nella cascina, ignari di tutto quello che era successo nel caseggiato del barone, la vita proseguiva come sempre, solo Nino e Bruno dopo la lavata di testa da parte di Assuntina cercarono o almeno ci provavarono a parlare civilmente senza punzecchiarsi più, e soprattutto a mantenere un atteggiamento quasi amichevole di fronte a Rosalia e Assuntina. Ma dovevano fare uno sforzo tremendo per non cadere nella tentazione di rompersi la faccia a pugni, in quanto né Bruno né Nino, volevano rinunciare a lei.

D’ altra parte la ragazza aveva volutamente cancellato dalla sua mente l’ incontro con Bruno nel capanno e il grande trasporto fisico che per un momento le aveva fatto perdere il controllo. Si era resa conto che era soltanto una forte attrazione per quel bel ragazzo dall’ aria dolce e dai modi gentili. Dopo la morte di Saro il suo cuore aveva smesso di battere per amore e si era rassegnata come un agnello sacrificale a donarsi a Nino pur non amandolo.

Tuttavia c’ era qualcuno che si stava facendo spazio nei suoi pensieri, il giovane carabiniere Antonino Privitera, dal giorno in cui l’ aveva incontrato spesso e con fastidio si sorprendeva a pensarlo, i suoi modi da uomo che pretende a tutti costi attenzione, anche quando dall’ altra parte trova un rifiuto, la irritava a tal punto che avrebbe voluto incontrarlo nuovamente per dirgliene quattro.

Naturalmente nessuno nella casa era a conoscenza del suo incontro al torrente e non aveva nessuna intenzione di parlarne.

Assuntina era molto preoccupata per la nipote, la vedeva sciupata, mangiava pochissimo e si notava che non riusciva neanche a dormire tranquillamente. Sapeva che il matrimonio con Nino era una forzatura e un grandissimo sbaglio, sarebbe stata una moglie insoddisfatta ed infelice, ma ormai non trovava nessun altra soluzione che quella, per un futuro almeno in sicurezza per lei. Dopo aver lavorato duramente nei campi, finalmente Nino e Bruno erano rientrati nel capanno per cambiarsi d’ abito per la cena. Le due donne avevano preparato il tavolo all’ aperto sotto la pergolata e cucinato qualcosa di fresco, visto il gran caldo che imperversava senza tregua su tutta la regione. Il sole aveva declinato la sua faccia rovente dietro l’ orizzonte ed un leggero venticello portava ristoro.

La piccola Rosalia cresceva a vista d’ occhio e non stava mai ferma, mettendo la mamma in grande apprensione per timore che le potesse accadere qualcosa. Da quando l’ avevano rapita e credeva che non l’ avrebbe mai più ritrovata, era diventata molto insicura e protettiva nei suoi riguardi. Si misero a tavola con un grande appetito e contenti di aver finito tutto quello che Assuntina gli aveva detto di completare, fra cui anche un recinto per i maiali. Parlavano del più e del meno, chiaccherando serenamente, almeno questo era ciò che appariva a chi li osservava, ma in realtà ognuno aveva dentro di sé un groviglio di pensieri e preoccupazioni. Poi all’ improvviso Nino disse ” Haju pensatu u jornu du matrimoniu, iu vulissa u trì dici ricì emri (Dicembre) u jornu ri Santa Lucia. Chi ni rici Rusalia?”

Lei solo a sentirlo parlare di matrimonio, le risaliva dallo stomaco un’ angoscia terribile provocandole quasi la nausea, ciò nonostante rispose: “ Si pi zia Assuntina va beni, va beni puru pi mia.”

La zia alla richiesta improvvisa di Nino, dopo aver sentito quello che aveva risposto Rosalia, disse: ” Lasciatemi pinsari n’ anticchia, chi duoppu vi fazzu sapiri.”

Bruno restò in silenzio con il cuore infranto, girò lo sguardo verso la ragazza per notare una qualsiasi cosa che lo facesse sperare in un suo ripensamento ma lei sembrava ferma nella sua decisione allora in quel momento pensò che fosse arrivato il momento di andarsene e questa volta per sempre. Doveva allontanarsi al più presto per non soffrire più, avrebbe tuttavia voluto parlare con lei da sola chiedendole il perché quel giorno nel capanno l’ aveva illuso con i suoi baci appassionati. Ma forse avevano ragione i paesani, Rosalia era una poco di buono. Così disse: “ Assuntina, haju attruvatu travagghiu vicinu a Catania e rumani me ni vaiu, grazzi pri tuttu.”

Poi aggiunse: “ Rusalia augguro pi tia tutta a cuntintizza ri chistu munnu.”

Quella sera fu l’ ultima volta che Rosalia vide Bruno, il ragazzo se ne andò all’ alba del giorno dopo. Prese le sue poche cose e diede un ultimo sguardo alla finestra di Rosalia dicendo: ” Addio pi sempri amuri miu.”

E ricacciando il pianto si avviò.

Anna Rossi 19/08/2021 03:39 1 670

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.

I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Commenti sul racconto Commenti sul racconto:

«Quante emozioni in questo episodio... uno dei più belli in assoluto... non solo la parte iniziale, ma anche il finale... Finalmente adesso è tutto chiaro... si conoscono gli assassini dei vari personaggi e la marchesa, con la sua fuga, lascia la porta aperta a nuovi intrighi e gialli, che sicuramente non mancheranno nei prossimi episodi.
Bruno sembrerebbe uscire di scena... adesso che Rosalia ha deciso la data di matrimonio con Nino, non resta altro che rassegnarsi e voltare pagina. Per non soffrire è obbligatorio andare via dal paese.
Ma resta un dubbio... la figura del carabiniere Antonino Privitera... e se il giovane fosse riuscito a far breccia nel cuore di Rosalia?»
Giacomo Scimonelli

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