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Fu immediato lo stupore che provai in piscina sotto al sole bollente per la meraviglia di quel corpo così perfetto di donna. La schiena inarcava come un arco teso, due occhi verdi, due gambe come quelle delle giraffe, alta, pelle bronzea, e natiche dure come noci di cocco. Ah.. dimenticavo, due mele acerbe i suoi seni. Il suo sguardo magnetico come una calamita penetrò nel il mio corpo, mi trafisse come una lama di coltello. Era bella, affascinante e educata bene culturalmente. Aveva compiuto da poco diciotto anni, l’ età della spensieratezza e del sorriso. Camminava come se portasse una cesta sulla testa. Statuaria a dir poco di Lei, sorrideva a tutti e quando rideva dalla sua bocca volavano farfalle. Si chiamava Gaia Moreno, e apparteneva a una delle tante famiglie ricche del Principato di Monaco. Quando non per caso, ci incontrammo al bar della piscina e ci presentammo le dissi incantato di conoscerla, e Lei, imbarazzata come una adolescente aprì quel bocciolo di rosa che era le bocca e disse merci in lingua Francese. In quel preciso istante il cuore pulsò forte, la vista si annebbiò, tremavo e sudavo, un fischio acuto come un treno in arrivo nell’ orecchio, le gambe molli a stento reggevano il peso del mio corpo. In quel preciso istante Cupido mi colpì con tre frecce imbevute di veleno, mentre Eros con una lancia penetrò nel piacere. Ero stato stregato da Afrodite sotto nascoste spoglie..? Era bellissima Gaia, m’ innamorai all’ istante. Le sue labbra erano carnose e di colore rosa, era nata per essere amata e non lo sapeva. Nel frattempo il tempo passò tra chiacchiere culturali e varie, Gaia era anche una poetessa, amava le poesie di Saffo e quelle di Ada Negri, diceva che da grande voleva aprire una scuola di poesie come fece a Lesbo ventuno secoli fa la poetessa di Eresos. Ero attratto da lei, ogni parola che diceva era una caramella al miele nella mia bocca. Alla fine gli chiesi se l indomani veniva di nuovo in piscina, ma lei rise, voltò le stupende spalle scolpite e andò via salutandomi con un bacio che fu ambrosia, sulle mie. Quella sera non riuscì a dormire, mi giravo e rigiravo nel letto, una frenesia in attesa dell’ alba mi perseguitò per l’ intera notte. I pensieri erano tutti per lei, ripassavo ogni scena, i dettagli del corpo, la dolcezza delle sue labbra, l’ arco della schiena, le mele non mature, i capelli spettinati, e in particolare pensavo a l’ eros che gaia trasmetteva pur senza scomporsi. Era figlia di Afrodite, nipote di Zeus. Dovevo stare attento a non trovarmi bruciato dal forchettone dell’ amore e dalle frecce di un Cupido dispettoso. L’ indomani mi recai presto in piscina nella speranza di rincontrarla, ma quel giorno non si presentò, chiesi in giro, ma nessuno mi seppe dire niente di lei, tranne che tutti l’ avevano notata. Il cuore mi divenni una pietra, un mal di nostalgia bruciava nel corpo, le fauci secche, scomparse persino la saliva. Ero teneramente fuori dal controllo emotivo e della situazione. Si abbassò persino la voce, per la depressione causatami per il mancato incontro d’ amore, che poi, ragionandoci era solo il mio. Gaia forse nemmeno se ne accorse del mio, il giorno prima. Ma quel bacio, il il sapore delle sue labbra, l’ odore del suo corpo cavalcavano nei miei pensieri come cavalli impazziti.
L’ amore è lento come una lumaca.
Lentamente si uniscono le due facce.
Trepidante l’ attesa,
poi la nascita ...
Si schiudono le labbra,
adagio, si cercano le bocche.
Nasce così ...
la rosa.
Tornai al nido, alla solitudine della mia casa, un caldo asfissiante quel giorno, e il sole raggiante mi rendeva stanco, ascoltai musica, ovviamente” Bossa Nova di Jobim, the Girl From Ipanema, ma queste, mi rattristava in quel momento, non mi restavo altro che aspettare, sperare che la mente e il turbinio dei pensieri si calmasse. Ma così non successe, uscii di casa a tarda sera, andai a Mergellina, la luna brillava nell’ acqua, si specchiava, e le lampare illuminate da una fioca luce pescavano a distanza della riva. Nei pensieri c’ era solo Gaia! Nessun altro di questo contrastava il mio sentimento, nemmeno la scogliera e i raggi della luna. Le coppiette sugli scogli si scambiavano baci, ridevano e si abbracciavano ed io li invidiavo, provavo rabbia, una malinconia mi stringeva il cuore. Questo durò per giorni, fin quando non incontrai Gaia dopo tempo a Via Chiaia in un negozio della zona, era bellissima, occhiali scuri, capelli al vento, labbra sensuali, indossava pantaloncino di jeans e camicetta di seta color corallo, ovvio, la ragazza non indossava il reggiseno, le mele acerbe apparivano ricche nel loro colore e splendore. Mi disse che l’ indomani sarebbe partita, vacanze finite! Io gli dissi che l’ amavo mentre un fremito permase nel cuore, gli dissi di restare ancora qualche giorno a Napoli o io sarei morto. Con la solita risata, mi diede un abbraccio e un altro bacio a rosa aperta, si voltò, poi di corsa sparì nei vicoli di Chiaia. Quel sapore mi rimase per giorni nella bocca, era miele caramellato, la saliva ambrosia.
‘ O zuccaro filato ca tiene dinta’ ‘ a vocca
è doce assaje
e ‘ sta lengua rossa è comm’ ‘ o sangue d’’ e cerà se.
’ O mare ch’è saliva nunn’è salato,
ma è umido ‘ e ‘ nfucato ...
E ‘ a pelle ca riveste tutto chesto
è velluto ‘ e noce,
Io nimmà nco me’ n’ accorge
pigliato ‘ a tanta grazia.
A’ lengua mia, chiano se posa
dint’ a ‘ sta puorto’ ‘ e paravise.
Lenta s’ arape ‘ a vocca toja,
chiano, m’ accuoglie senza rummore.
Se ferma ‘ o tiempo ...
E’ ‘ o trionfo ‘ e ll’ ammore!
Dint’ a ‘ stù mare se vola luntano ...
S’ arapeno accussj,
porte, purticielle ‘ e purtune.
S’ arape ‘ o core
e luntano se vola.
Non riuscivo a dimenticarla, ero scottato, bruciato, arrostito, un S. Laurentius dei nostri tempi, si narra che il santo sulla graticola disse al boia cuocimi e mangiami ... io in quei giorni lo ripetevo all’ amore. Alzavo sempre gli occhi al cielo, restavo in attesa ... chi sà forse, Cupido, Eros o Afrodite, mi avrebbero regalo un’ altro tremolio nel cuore. L’ amore è grazia Divina.
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