La domestica ringraziò la marchesa: " A signura jè trù oppu bona..."
Quando stava per congedarsi comparve Liborio, il quale si rivolse alla marchesa dicendole: " Vvossia bon jornu, mi avi mandato u baroni si aviti bisù ognu ri qualcuosa..."
Erano così vicini che Cicca all’improvviso li guardò come se li avesse visti per la prima volta, sbiancò in volto, certo non poteva sbagliarsi, la somiglianza era impressionante e poi notò un particolare non di poco conto. La stessa ciocca di capelli sulla nuca di una tonalità più chiara degli altri. Liborio si accorse dell’espressione incredula della donna e le chiese: " Cicca stai bona? Si pallida comu unu cannavazzu..."
Lei riprendendosi dallo stupore: " Si... si staiu beni, sulu ’ n capogiro, ma ù ora jè passatu."
E si affrettò a rientrare in casa, tuttavia li osservò dalla finestra che dava in giardino. Più li guardava e più si convinceva che Liborio fosse il figlio della marchesa. Inoltre, anche la sua età combaciava, difatti facendo due conti il figlio illegittimo di Don Ugo con la cognata doveva avere la stessa sua età. Ora stava pensando se dirlo al barone o tenere per sé questo segreto, ma troppi sospetti si stavano affacciando nella sua mente. Perché facevano finta di non conoscersi? Perché in tutti questi anni Liborio aveva tenuto nascosta la sua identità? A quale scopo?
Intanto Liborio preoccupato disse alla madre: " Matri mo, vitti chi Cicca ci avi vaddatu pi malu manera, chi po ì essiri capiu qualcuosa? Si jè accussì cam’ a fari accura... pi nun è ssiri scummigghiati (scoperti).
La madre con la sua consueta freddezza rispose: " Figghiu miu stà carmu... nuddu avi l’abbilità ri firmari a nuatri."
Liborio, nonostante le parole rassicuranti della madre non si sentiva per niente tranquillo, anzi, aveva il timore che proprio quando ormai mancava poco alla fine di tutta questa storia, potevano venire scoperti e così mandare in fumo anni ed anni di attesa.
Così la marchesa gli disse: " Amuninni... vogghiu jiri intra a cresia, iu vogghiu ì ittari i virmiceddi (buttare la pasta nel piatto: confessare tutto) a Don Anselmo."
Il figlio non sapeva se era una buona idea, anche se c’ era il segreto della confessione, la coscienza del sacerdote poteva avere il sopravvento e svelare tutto ai carabinieri. D’ altra parte, conoscendola molto bene, non osava minimamente contraddire la marchesa e così andò a prendere il carro ed insieme si avviarono lungo la strada.
Carolina finalmente poteva godere del meraviglioso paesaggio, dai campi coltivati a grano, agli agrumeti, alle vigne già piene di acerbi grappoli e distesi uliveti carichi di frutti e poi da lontano poteva ammirare l’immensa distesa azzurra, che si congiungeva con il cielo terso. Ora era fuori da quella prigione, se pur volontaria, ma nello stesso tempo, forzata dagli eventi, durante il tragitto volle scendere e disse al figlio di voler fare un tratto di strada a piedi. Seguirono il sentiero che oltre ad essere accidentato, era pieno di ricordi, alcuni belli ed altri molto dolorosi, infatti, quando giunsero al mulino, quei ricordi le affiorarono in maniera prepotente. Sentiva ancora il profumo di un’estate ormai passata da tempo, il gran caldo e lei bellissima e giovane che correva incontro all’amore della sua vita, lei amava da impazzire quel giovane dagli occhi marroni e profondi e soprattutto credeva alle sue parole, oltre ad essere incantata da quel suo modo di fare garbato e signorile.
Don Ugo sapeva come fare breccia nel suo cuore di fanciulla, con lui si sentiva una regina, gli donò se stessa, il suo grande amore, la sua vita. S’ incontravano di nascosto tutte le volte che potevano. Don Ugo era il marito Filomena, la sorella maggiore, ma lui la rasserenava dicendo che il suo cuore batteva solo per lei e presto avrebbe lasciato la moglie, anche a costo di mettersi contro tutto e tutti.
Allora era inconcepibile separarsi: " Tuttu chiddu chi Diu unisce nun si po’ spartì ri e nuddu omu avi u diritto ri fari..."
Lei innamorata com’ era non aveva mai messo in dubbio i sentimenti del barone ed era certa che fossero sinceri, invece questi, dopo averla usata a suo piacimento e soprattutto dopo aver scoperto che aspettava un figlio suo, non ci aveva pensato due volte a scaricarla in malo modo. Inutili le sue lacrime e le sue suppliche, non era riuscita a commuovere in nessun modo quell’uomo dall’animo freddo e glaciale, anzi lo avevano reso ancora più duro e cattivo.
Cosciente della gravità della cosa, per potersene liberare aveva confessato alla moglie il suo tradimento con la sorella e le aveva chiesto perdono. Filomena da moglie fedele e con l’animo ferito lo aveva perdonato.
Ma contestualmente si scagliò contro la sorella cacciandola via da casa.
Tutti quei comportamenti erano condizionati dalla mentalità maschilista del tempo: " L’ omu jè alferu, (cacciatore) jè a fì mmina ca ’ nsistiri (resistere) a du piccatu."
Carolina, ripensando a tutta la sua sofferenza, cambiò l’espressione del viso e divenne una maschera d’ odio, decise di risalire sul carro e disse al figlio: " Figghiu mo, amuninni..."
Intanto nella cascina la giornata era iniziata come al solito, Nino più stanco di come era andato a dormire si stava preparando per il consueto lavoro e dopo aver fatto colazione con un uovo appena preso dal pollaio, chiamò Bruno dicendogli di sbrigarsi e che lo avrebbe aspettato. Invece questi gli rispose: " Abbiati chi haju a fari ’ na cù osa e duoppu ti jà prinu (raggiungo)..."
Nino non si fidava di lasciarlo lì a casa e gli disse: " Ca fari ri accussì ’ mpurtanti chi nun po’ vì eniri ù ora a travagghiare?"
Bruno infastidito rispose: " Cu si? Me patri? Allura, picchì ti haju diri i cosi mia?" Ormai il loro astio era evidente ed era inutile fingere che tra di loro ci fosse un’amicizia che in effetti non c’ era.
Nino cercando di evitare lo scontro disse: " Jè megghiu chi me ni vaiu si noni nun sacciu cù osa po’ succè diri..." E imprecando si avviò verso campi.
Rosalia aveva assistito a tutta la scena e quello che udì non le piacque, le cose stavano degenerando e lei, suo malgrado era la causa di tutto ciò. Anche Assuntina si era accorta della tensione che si era creata fra i due e domandò alla nipote se ne sapesse qualcosa: " Rusalia sai pi casu nzoccu c’è ntra Ninu e Brunu? Mi pare chi stirnata (oggi) hannu avutu ’ na liti."
Rosalia: " Chi pozzu sapiri iu? U sai chi ri masculi sunnu capu cavuri."
La zia accettò la risposta della nipote senza ribattere, ma un’idea se l’era fatta sull’odio dei due uomini. Comunque detto questo disse alla nipote che si sarebbe avviata nel frutteto e di raggiungerla una volta che la piccola si fosse svegliata.
Rosalia ne approfittò per stendere i panni sui fili posti in giardino, era una splendida giornata e quindi si sarebbero asciugati subito. Aveva in mano la cesta piena di biancheria e quando sentì piangere la figlia che si era appena svegliata, posò a terra la cesta per correre di sopra dalla sua bambina. Dopo averla cambiata ed averle dato il latte uscì nuovamente fuori per continuare quello che stava facendo. Sorpresa notò che i panni erano già stati stesi e anche bene. Si guardò intorno e osservò che si stava avvicinando Bruno: " Spero chi fici beni..." E le sorrise con tutto il suo amore.
Lei arrossì dalla testa ai piedi tuttavia e gli disse: " Chistu jè travagghiu di li fimmine... E tia chi fai ca? Avì ri essiri cu Ninu."
Lui la guardò serio poi le chiese senza mezzi termini: " Picchì tu sposi? Nun u ami si vadda da luntanu... Ti vvoi fari puvuredda tutta a vituzza?"
Lei sapeva benissimo che Bruno aveva ragione e sentendo le sue parole, le prese una terribile angoscia alla bocca dello stomaco. Non riuscì a dire nulla e mentre Bruno le si avvicinava, gli occhi le si riempirono di lacrime, a quel punto lui l’abbracciò prima teneramente e poi stringendola più forte. I loro cuori sembravano impazziti dall’emozione ed i loro respiri divennero più corti. Lui le prese la mano e la condusse nel capanno.
Le bocche si unirono in un lungo bacio appassionato mentre i loro corpi smaniosi e frementi di appartenersi, si avvinghiavano l’un l’altro. Il mondo intorno era magicamente scomparso, niente e nessuno aveva più importanza. Loro due erano il mondo e questo bastava. Bruno iniziò a baciarla dappertutto, assaporando ogni millimetro della sua pelle bianca e setosa. Quando ormai sembrava che tutte le barriere fossero d’ incanto cadute, una vocina la riportò alla realtà, la piccola Rosalia la stava chiamando. Si sistemò velocemente dicendo: " Ma cù osa staiu facennu?"
Corse fuori lasciando Bruno nella più totale frustrazione, ma allo stesso tempo felice, ora era sicuro che Rosalia lo amava e non si poteva sposare con Nino.
Rosalia cercò di calmarsi e riprendersi da quel terremoto emotivo che l’aveva travolta, adesso non poteva più fingere a se stessa, provava una forte attrazione per quel ragazzo e forse era anche qualcosa di più. Anche se il ricordo di Saro ancora la tormentava riempiendole i suoi sogni di incubi ed era convinta che non l’avrebbe mai dimenticato, poi c’ era sua figlia a ricordarglielo ogni giorno.
Intanto in chiesa, Don Anselmo aveva appena finito di celebrare la messa mattutina e stava spegnendo i due grandi ceri posti ai lati dell’altare, quando sentì qualcuno entrare, si girò e per poco non gli venne un colpo, conosceva benissimo quella donna e tutto ciò che la riguardava, era stata proprio lei a confessare la sua storia con Don Ugo davanti a lui e a Dio. Si domandò perché fosse tornata e se non era un motivo per cui doveva preoccuparsi...
Lei senza mostrare nessuna emozione gli disse: " Don Anselmo... Quantu tiempu... Mi vogghiu confessare, assai piccati fici... E apprima ri moriri mi vogghiu lavari l’anima..."
Il sacerdote la guardò impensierito, di quali peccati parlava? Una sensazione sgradevole si impadronì della sua mente: " Sunnu ca pi chistu."
Man mano che la marchesa parlava e raccontava tutti gli orrori che aveva compiuto, Don Anselmo si sentiva male, il sudore gli imperlò la fronte e lo costrinse ad asciugarsi continuamente, dopo un po’ si dovette allentare il colletto bianco. A metà racconto le chiese scusa e la interruppe con la scusa che aveva bisogno di allontanarsi per alcuni suoi bisogni fisiologici, mentre in realtà si sentiva svenire di fronte a tanta crudeltà. Passarono minuti interminabili, tanto che Carolina andò a cercarlo in sacrestia, lo trovò inginocchiato davanti al crocifisso in legno, che pregava in modo accorato: " Signuri Santissimo, Cruci Santa... Pirdunu addimannu a tia, nun ddà fazzu a sè ntiri chista cristiana... jè tropp’ assai crudili... Povureddi chiddi chi a manu ri idda hannu ncruciatu..."
Carolina si girò ed uscì dalla chiesa senza voltarsi, non era pentita di quello che aveva fatto, lei voleva solo provocare altro dolore e sapeva che dicendo i suoi misfatti al povero sacerdote non aveva fatto altro che dargli sconforto e tormento.
Liborio l’aspettava fuori, lei salì sul carro ed insieme tornarono al maniero.
Don Anselmo ritornò in confessionale e s’ accorse che Carolina se ne era andata, si fece il segno della croce poi prese dell’acqua santa e benedisse tutta la chiesa.
Ora sapeva, ora conosceva la verità, come avrebbe potuto convivere con un segreto tanto atroce, come prete doveva essere deposito di confessioni senza rivelarle a nessuno, come uomo sentiva l’urgenza di denunciare tutto... e se non si fossero fermati lì, ma avrebbero continuato a fare del male, come poteva vivere con il rimorso di altre vittime innocenti? Scoppiò in un pianto senza consolazione, si sentiva preso in trappola, come se raccontandogli tutto, la marchesa si era voluta soltanto alleggerire dal peso della sua stessa malvagità. Il pensiero andò a Saro, Totuccia, Ninetta e Munidda ed a quel bimbo che ancora non si sapeva che fine avesse fatto in quanto la marchesa di questo particolare non aveva voluto parlarne.
Si asciugò in fretta il viso, qualcuno era entrato in chiesa, era il brigadiere Costa con l’appuntato Finocchiaro, il quale rivolgendosi al sacerdote gli disse: " Don Anselmo caru, vitti ’ na fimmina nì esciri da ca, nun jè du paì si? Nun jè vì ero? Vuatri sapiti cu jè?"
Lui rispose: " Jè a soru di la contessa Mena, tornau pi ’ na visita o niputi Don Lenzu. Picchì u vuliti sapiri?"
Costa: " Tuttu chiddu chi succedi nta paì si jè ’ mpurtanti... Chi vinni a fari rintra a cresia?"
Il sacerdote: " Chi dumanne... Chi si veni a fari rintra a cresia? A pregare u Signuri..."
La risposta di Don Anselmo non convinse assolutamente i carabinieri soprattutto vedendo il suo viso sconvolto, ma non aggiunsero altro e se ne andarono. Il sacerdote a quel punto si accasciò su una panca e prendendosi il viso fra le mani dalla disperazione, continuava a ripetere: " E ù ora chi fazzu? Signuri mo dammi a strata dritta..."
Bruno nel frattempo nella cascina, dopo l’inaspettato incontro con Rosalia si affrettò a raggiungere Nino, sicuramente lo avrebbe trovato contrariato dal suo ritardo e soprattutto impaziente di vederlo arrivare, si era accorto di come lo teneva sott’ occhio... Effettivamente appena lo vide sbottò pieno di rabbia:" Fussi ù ora chi ti vè che (vedo) arrivari, ti paganu pi travagghiari nun pi fari i cosi toi."
Lui non raccolse la provocazione, era troppo felice per sciupare quel momento con le cattiverie di Nino. Assuntina che era lì vicino ascoltò l’ennesimo battibecco fra i due e si rese conto che la situazione non era per niente facile, inoltre, non gli sfuggì l’atteggiamento di Bruno, non aveva risposto ed inoltre aveva un’aria soddisfatta che non la convinceva: " Comu u surciu chi avi sulu manciatu u furmaggiu." Questo era ciò che lei pensava.
Dopo poco arrivò anche Rosalia con la figlia e Assuntina esclamò: " Bì edda figghia, era ù ora... chi facisti tuttu chistu tiempu? Rù ormi a picciridda?"
Lei impacciata: " Si... si... e chiu tardu haju stinnuto ri panni."
Assuntina fece un’espressione di comodo e continuò a lavorare, anche se tutta la faccenda iniziava a preoccuparla, forse aveva fatto male a chiedere a Bruno di restare. Durante tutta la mattinata non le sfuggirono gli sguardi che il ragazzo continuava a lanciare alla nipote e che la stessa ricambiava, tant’è che ad un certo punto non ne potette più e disse a Rosalia: " Rusalia vattinni a casa accussì mì etti a pignata pi’ li fasola, picchì ci voli tiempu pri a priparare... e duoppu a pi a nica c’è trù oppu suli."
La ragazza ubbidì e Nino le chiese: " Ti accumpagnu iu, picchì teni a picciridda e u panaru di li cerasa."
Lei non se la sentì di rifiutare in quanto aveva davvero bisogno di aiuto, la cesta era pesante ed inoltre doveva tenere per mano la figlia per evitare che si allontanasse. Al contrario Nino non vedeva l’ora di restare solo con lei per chiederle di fissare il giorno delle nozze, non poteva più perdere altro tempo, Rosalia doveva diventare sua moglie il più presto possibile.