Mia madre a Pomigliano veniva chiamata, da chi non la conosceva tanto bene, "la signora toscana", e c’ era un motivo, perché era arrivata a Pomigliano nel 1942 con la famiglia dopo avere abitato per sette anni, dai sedici ai ventitré anni di età, a Pontedera, dove suo padre, mio nonno, lavorava alla "Piaggio" (e poi alle "Palazzine", a Pomigliano, c’ erano non poche vere signore toscane ...)
Ad Arzano invece diventò un po’ per tutti " ‘ a signora milanesa", forse perché aveva detto a qualcuna di essere nata, ma solo quasi per caso, a Milano (a Sesto San Giovanni per l’ esattezza), o più probabilmente perché gli e le arzanesi definivano "milanese" chiunque avesse un accento non napoletano ...
Mia madre era una donna parecchio riservata, capace però di avere fiducia nelle persone che secondo lei la meritavano, e nel palazzetto dove abitavamo si era legata particolarmente ad una signora, madre di un giovanotto che poi sarebbe diventato sindaco di Arzano: tutti, in quella famiglia, erano dignitosi, seri e modesti, e mia madre ammirava quelle qualità, mentre non ammetteva comportamenti equivoci o sgarbati; rinunciò a portare a riparare gli orologi da un orologiaio (che era poi lo zio di un mio amico) perché costui diceva delle parole allusive, come a Pomigliano aveva rinunciato, negli anni Cinquanta, ad andare da un macellaio che, alla richiesta di mia madre di avere un pezzo di carne con un po’ d’ osso per il brodo, aveva detto: "L’ uosso ‘ o iate a piglia’ ‘ int’ ‘ o campusanto! " ("L’ osso? Andatelo a prendere al cimitero! ")
Tutto sommato, dopo un periodo di ambientamento, mia madre si era abituata ad Arzano, ancora capace, almeno allora, nonostante inevitabili incongruenze, di dare agli abitanti quel calore umano che a Pomigliano pian piano si stava esaurendo (quando, ventenne, lessi il "Voyage au bout de la nuit", di Cé line, quasi identificai con Arzano quei sobborghi di Parigi problematici ma ricchi di umanità, in cui il dottor Destouches si recava a visitare i pazienti, quei sobborghi così pittorescamente descritti dal grande, pur se emarginato, medico- scrittore francese) . Forse il reddito pro capite un po’ meno elevato, il lavoro di operaio talvolta precario in piccole fabbriche che possono chiudere anche dall’ oggi al domani, la vicinanza a zone difficili di Napoli hanno dato agli e alle arzanesi una visione della vita più aperta, una propensione maggiore ad immedesimarsi nelle disgrazie altrui (a Pomigliano un operaio della "FCA", ex "Alfasud", o della "Leonardo", ex "Alenia", si considera non raramente quasi un gran signore, e guarda magari un povero ex insegnante come me dall’ alto in basso ...)
Nel periodo presente, in cui il calore umano sembra ormai essere stato sostituito con quello dei termosifoni, amo immaginare che Arzano costituisca ancora un’ eccezione, che sia tuttora capace, nonostante le sue disfunzioni, di riscaldare chi la abita e chi semplicemente vi si trova di passaggio.