Finalmente un pomeriggio libero, dopo tanto tempo! Lo attendeva da parecchio, ne aveva avvertito una grande necessità. Negli ultimi tempi il lavoro non le aveva dato tregua, era stanca, un po’ impaurita, frastornata, annichilita. Non aveva ancora metabolizzato la perdita della madre... così improvvisa, proprio nel momento più felice della sua vita, dopo tante tribolazioni. La sua mamma l’aveva lasciata; la sua mamma era anziana, è vero, ma le mamme, si sa, non hanno età, sono eterne e nel nostro cuore rimangono sempre giovani. Di colpo, il mondo le era crollato addosso, eh sì che da tempo sapeva che si stava riducendo sempre più il lasso che la separava da questo momento... lo temeva. Ma, di certo, non immaginava quanto duro e forte sarebbe stato. E menomale che c’era lui, sempre vicino, il suo angelo guerriero, che mai le aveva lasciato la mano.
Aveva ripreso da subito il lavoro, per sopravvivere, per riattaccarsi a quella fune di vita, di cui, per un attimo, aveva perso la presa. Ma era come sollevare una montagna... difficile, arduo, amaro, ruvido... ma, piano piano, riuscì a risalire.
Ma adesso, adesso che tutto sembrava volgere verso le agognate ferie e l’estate cominciava a spalancare le sue grandi porte verso sconfinati spazi da riempire, si rendeva conto di essere ancora dentro un inguaribile inverno.
Quel pomeriggio, così libero, così vuoto, così lungo, le sembrò un deserto assolato... e, così, invece di rilassarsi, come aveva immaginato, magari davanti ad un bel film francese, o riposando o leggendo o riordinando o dedicandosi ai suoi fiori, così belli e ridenti, si fece scoppiare un terribile mal di testa.
Era sola, come quasi sempre il pomeriggio, c’era un silenzio assordante, e dopo aver preso un analgesico, si sdraiò, sperando passasse in fretta quel dolore, che racchiudeva in sé, amplificati, tutti i suoi dolori... e cominciarono a sfilare uno ad uno, tutti i volti cari, amati, e meno amati e i sensi di colpa, ardenti, brucianti.
Ad uno ad uno s’affollarono i suoi timori, tremarono i cardini della sua nuova casa, così ben edificata, senza quei tralci infesti che le avevano negato i sorrisi e soffocato ogni palpito di vita in un mare di geloso egoismo, un lago ammalato, che si nutriva del suo stesso male, aggravandolo sempre di più.
E poi lei, la sua mamma, giovane, orfana sperduta, trapiantata una nuova città, lontana dalla care sorelle, accanto all’amato, ma anche alla famiglia di lui sciagurata, che su di lei infieriva, con malvagie manovre... e poi sui suoi cuccioli, che bramava, considerando siffatto artificio, amore, affetto... povere anime nere, frustrate vite senza senso.
Sfilano le immagini, sfilano i ricordi, con la loro gravosa portata, e un nodo alla gola si fa avvertire... ops, il mal di testa ha allentato la sua presa... -andate via, scomodi inquilini, tornerete quando deciderò d’assolvervi e con voi, me stessa. Ci ritroveremo, ci rivedremo. - pensò, mentre alzandosi dal divano, divenuto per un tempo indefinito, una tomba degli inferi, e cominciò a provvedere ai suoi amici più cari e fedeli: i suoi animali.
E, mentre si osservava allo specchio indossare la tuta delle lunghe passeggiate col suo Oliver, compiaciuta, tirò un sospiro, come di sollievo... era lei, la giovane fanciulla di sempre, anche se gli anni battevano un tempo non sempre gradito. Poi, chiuse la porta di casa e respirando quell’aria profumata di zagara e pollini, aprì il cancello per incamminarsi lungo il sentiero alberato, con Oliver, che felice saltellava e abbaiava e si sentì felice anche lei; comprese quanto prezioso fosse quell’angolo di paradiso che qualcuno lassù le aveva riservato, con tutto ciò che conteneva e si sentì profondamente grata.
S’incamminò con le sue stimmate quasi rimarginate, dimentica del viaggio appena compiuto, abbracciando la sua vita, amata. |
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