Ho smesso di parlare, ho chiuso ogni porta e, rintanata nella stanza più buia, mi assento.
Lascio che si inerpichino sul mio corpo inerme, artigli di piante soffocanti, che ricoprendolo, lo risucchiano e annientano.
Come automa, senza volto e senza nome, mi desto a tratti da questo strano decesso, per assolvere ai doveri imposti e conquistati dopo lunga lotta, per non perdermi del tutto, per non far scorgere sulla facciata della mia esistenza, i segni indelebili della tua mancanza: mamma.
Mamma, mamma, mamma! Straziante adesso risuona dentro l’anima confusa, l’invocazione abituale, che mentre nasce, dolorosamente muore.
Quel giorno, che pure mi appariva quasi naturale, il sole si strappò di colpo e il mio cielo si oscurò. Di tenebre e vuoto è ora il mio avanzare, arrancando, senza gambo che mi sostenga, senza senso.
Distrutta dentro, rottami alla rinfusa: così mi sento.
Ferite profonde e dolenti, che invocano cure attente e grazia a dismisura, ma nessuno sente, nessuno comprende (forse troppo nascosta, forse troppo brava attrice) e così mi difendo, fuggendo.
Te ne sei andata, mi hai lasciata, in uno strazio senza fine; disperatamente, ogni giorno prendo consapevolezza che ti stai sempre più allontanando, nutrendo di rimorsi il mio rimpianto.
Non pensavo sarebbe stato così difficile, la vita dura solo un istante, il resto è solo un lungo, infinito ricordo, le cui trame scolorano giorno dopo giorno, trasferendosi dentro gesti e parole di chi rimane.
Navigare é arduo su queste acque perigliose, dove ogni remo frana in vortici assetati. Si annienta il cammino quando gli orizzonti scompaiono e alla vista s’innalzano solo banchi di nebbia impenetrabili, severi sbarramenti ad andare avanti. |
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