La guardai. Era davanti a me impassibile. Era davanti a sua figlia che l’amava.
Mia madre era unta di dispiaceri e dolori. Il sangue che scorreva nelle sue vene era stufo di vivere.
“Mamma”-la chiamai toccandole la mano inerme.
I suoi occhi ciechi mi penetravano il corpo e l’anima. I suoi capelli arruffati e crespi erano la testimonianza della sua stanchezza. La sua bocca scura era la conferma della sua malattia.
“Mamma”- la chiamai accarezzandole il volto.
Il suo sguardo disorientato cercava una luce nel buio. Le sue mani bianche cercavano un muro dove posarsi. Le sue ali senza piume cercavano un ramo dove riposarsi.
“Mamma”- la chiamai baciandole la fronte.
Il sudore della sua pelle aveva purtroppo in sé annientato il profumo di rose che io sentivo quando da piccola mi avvicinavo a lei per ricevere un suo bacio.
Il profumo della sua pelle aveva purtroppo assorbito l’odore di ospedali e di medicinali.
“Mamma”- la chiamai posando le mie labbra tremanti sulla sua guancia.
La sua mano instabile cercò il mio viso. Gli occhi sui polpastrelli delle sue dita cercarono di riconoscere l’identità che mi appartiene.
Le lacrime in silenzio scivolarono sulle sue guance e la voce ingoiata nello stomaco cercò di risalire la gola.
“Mamma”- la chiamai piangendo.
Sentii le sue mani esitanti sulla mia bocca di cui ne disegnavano i contorni. Sentii le sue mani sui miei occhi di cui ne asciugavano le lacrime.
“Mamma”- la chiamai accoccolandomi sulle sue ginocchia.
Sentii le sue ali aprirsi. Sentii le sue bocche baciarmi. Sentii il suo calore avvolgermi.
“Mamma”- la chiamai per l’ultima volta.