Avevo pensato, durante i miei tre o quattro soggiorni a Parigi, di andare a fare una capatina a Londra (in fin dei conti si trattava di circa 500 chilometri, di sei o sette ore di viaggio, per me che non ho mai preso l'aereo...) , ma per vari motivi avevo rinunciato all'idea.
Nel 1991 (ormai a quarant'anni di età) mi risolsi finalmente ad andarci per qualche giorno (era quasi una vergogna, per un insegnante di lingue, anche se di francese, non conoscere ancora l'altra megalopoli europea), ed il 12 agosto, rigorosamente in treno, partii da Napoli, e a Roma Termini presi il "Roma - Calais" delle 17, 06.
La mattina del giorno successivo, attraversando le Ardenne, potei vedere, con una certa tristezza, tante stazioncine con delle targhe che ricordavano che quei numerosi paesi erano stati uno dei principali teatri della sanguinosissima e inutile prima guerra mondiale; ma, forse per una sorta di nemesi storica, mi sembrò che ora essi fossero immersi in una nitida atmosfera di pace, come se a volte ci fosse bisogno, purtroppo, di una grande tragedia per potere poi apprezzare profondamente e per sempre la bellezza della quiete e ricacciare definitivamente l'insana idea della superiorità di un popolo su un altro.
A Calais presi il traghetto, e nel tardo pomeriggio arrivai a Dover, dove mi meravigliò un po' il fatto che il doganiere accettasse con poca convinzione la mia carta di identità, perché avrebbe preferito il passaporto (anche se la Gran Bretagna già era entrata in Europa...)
Sul trenino Dover - Londra, come già li avevo visti sul traghetto, osservai parecchi volti di ragazzi e ragazze di una ventina d'anni, palesemente italiani, atteggiati a un'espressione quasi mistica (ora che ci penso, quei ragazzi sembravano attratti dal mito di Londra quasi come se avessero subito uno strano incantesimo, simile a quello esercitato frequentemente, in quegli anni, su tanti giovani dalla setta pseudoreligiosa di "Scientology" ...)
Quando il treno arrivò a Victoria Station era già sera inoltrata e, stanco com'ero, presi in fretta e furia una stanza in un alberghetto nei paraggi, gestito da Indiani e la cui pulizia (mi accorsi poi) lasciava parecchio a desiderare.
Nei tre giorni seguenti mi misi a visitare il più possibile, a piedi com'era mia abitudine, la città, ma nessun luogo (né Westminster, né i tre parchi, né il Tamigi, né i suoi pochi ponti, né la City, né lo Strand, né Downing Street, né il Big Ben, né Carnaby Street, né la Tower, eccetera) esercitò su di me un benché minimo fascino, e pensai che tante passeggiate per tutta Londra non valevano una sola "promenade" in un boulevard parigino, anche preso a caso...
Che differenza con Parigi, poi, quando oltrepassai il fiume! La Rive droite e la Rive gauche, pur nella loro diversità, rappresentano con convinzione le due anime assolutamente complementari della capitale francese, ed hanno praticamente la stessa importanza, mentre l'unica volta che andai a vedere, a Londra, cosa c'era sulla riva destra dovetti subito tornare indietro, spaventato dalla tangibile miseria (impersonata, è vero, soprattutto dagli immigrati orientali) e da un inquietante senso di insicurezza!
La cucina inglese, si sa, è improponibile ("La cucina inglese è certo la più rozza che ci sia", scriveva Alberto Moravia nel 1931, in "Viaggio in Inghilterra") , e pertanto mi servii di un paio di ristorantini gestiti da Indiani (che, sempre secondo Moravia, usano molto curry per eccitare i loro sensi decrepiti), e con molto piacere di un ristorante italiano ("Amandini's", 3 Southampton Row; mi misi a parlare volentieri con il proprietario, un viareggino sulla sessantina che era andato a Londra negli anni Sessanta, ma che ora sembrava quasi pentito, perché stavamo vivendo il periodo in cui il PIL italiano aveva superato quello inglese: fu davvero contento di potere conversare con un connazionale!)
E, se la cucina costituisce un po' il parametro del livello artistico di una nazione, anche nel campo della musica, della pittura, dell'architettura e della letteratura (e - perché no? - del calcio: pur avendolo, diciamo, inventato, i Britannici lo giocano tuttora in modo monotono, ripetitivo, prevedibile, schematico) gli Inglesi non hanno mai prodotto nulla di davvero valido e interessante, ma sono anzi convinto che, dopo la seconda guerra mondiale, con l'aiuto dei loro cugini statunitensi, hanno corrotto il gusto degli altri Europei, e di noi Italiani in particolare...
Insomma, capii che Londra non faceva per me, e dopo tre giorni decisi di andarmene. Ripresi il traghetto e, rimesso piede a Calais, mi sembrò di essere quasi tornato a casa (per casa io intendo anche tutta l'Europa, quando è vera Europa): decisi di fermarmi lì per una notte, accolto con la massima gentilezza da un Vietnamita, che con sua moglie gestiva un alberghetto lindissimo, dopo essermi rifocillato in un ristorante che cucinava il pesce in modo sopraffino!
Cosa conservo di quel brevissimo mio soggiorno a Londra? I bigliettini che trovavo in ogni cabina telefonica quando vi entravo per telefonare in Italia: "Sophisticated lady will pamper or punish: 7248080", "School teacher needed to punish naughty schoolgirl: 7243307", "A sophisticated lady offers a 'mature' personalized service: 4862819" ...