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Per i suoi occhi

Amore

Aveva preso tutto: la cartella con i bozzetti ai quali aveva lavorato per tutta la notte era appoggiata sul sedile posteriore, le copie della relazione ben ordinate accanto a lui, la pen drive, la Mont Banc portafortuna nel taschino dell’ elegante giacca blu.

Era pronto, si diede un'ultima occhiata nello specchietto retrovisore: la barba impeccabile, il leggero pizzetto che gli donava un’ aria trendy, i profondi occhi azzurri con le iridi punteggiate di pagliuzze dorate.

Per tutta la notte aveva ripetuto davanti allo specchio il discorso introduttivo, aveva provato diverse impostazioni della voce e studiato accuratamente la postura del corpo ed il movimento delle mani. Non poteva sbagliare. Nulla era stato lasciato al caso. Era troppo importante il colloquio di quella mattina. Avrebbe avuto una platea attenta e critica ma li avrebbe conquistati. E, se li avesse veramente convinti, la strada del successo personale inseguito con costanza, duro lavoro, abnegazione, gli si sarebbe aperta davanti come un sentiero luminoso verso l’ olimpo della carriera, dei soldi, del successo.

Aveva mandato i suoi bozzetti a quella multinazionale per un concorso per la campagna pubblicitaria legata al lancio di un nuovo prodotto, lo avevano convocato per un colloquio preliminare ed oggi finalmente avrebbe potuto esporre il proprio ambizioso progetto!

Era partito con un largo margine d’ anticipo, guidava lento nel traffico che dalla periferia portava verso il centro città. Man mano che procedeva, i villini a schiera lasciavano il posto all’ accozzaglia di palazzoni grigi, tristi formicai dove si susseguivano un'infinità di vite anonime. Forse lo squallore esterno era solo il riflesso di una vita triste, ripetitiva, senza sorriso. Gli sembrava di sentire l’ odore stantio di cavolfiore nell’ androne e nelle scale male illuminate, il pianto di un bambino, il ronzio del televisore acceso a tutte le ore, una discussione animata.

Conosceva bene quella realtà, faceva parte dei ricordi della sua infanzia, di suo padre torvo e silenzioso che cenava con lo sguardo incollato al televisore, di sua madre il cui sorriso triste non si riverberava in quei meravigliosi occhi turchesi sempre cerchiati.

Trascorreva le sue giornate fuori da quel casermone dove abitava, zingaro di una libertà feroce, animalesca. La sua creativà aveva fatto di lui un writer molto conosciuto e la sua firma, Mock, ancora capeggiava su molti muri della città.

Ora era un’ altra persona. I genitori si erano spenti a poca distanza di tempo l’ una dall’ altro, silenziosi come avevano sempre vissuto, lui si era iscritto ad una scuola d’ arte: laureato con il massimo dei voti: aveva talento, immaginazione ed un’ irrefrenabile sete di riscossa e di successo. In questa sua rincorsa aveva tralasciato alcune cose, non era riuscito a mantenere un rapporto con una donna per più di qualche settimana, non aveva né tempo né desiderio di impegnarsi per cui ogni volta che la compagna del momento accampava qualche pretesa, senza un cenno ne’ una parola spariva, semplicemente. Unico compagno fedele, un magnifico ed altero gatto persiano bianco, Free, il padrone indiscusso della sua minuscola mansarda fuori città. Non c’ erano smancerie tra i due, ma dormivano insieme. Free si accoccolava tra la spalliera del letto ed il suo cuscino, più spesso sul suo cuscino, erano entrambi liberi, autonomi, indipendenti.

Era quasi arrivato. Imboccò l’ enorme viale alberato che portava il nome del presidente della multinazionale, parcheggiò e si avviò verso l’ enorme grattacielo di vetro azzurrato.

La sua calma e la sua freddezza svanirono per un breve istante, sentì lo stomaco fargli le capriole e le mani fredde: “ Ci siamo”. Tutta una vita concentrata in quell’ attimo. Un respiro profondo, un’ alzata di spalle e deciso si avviò verso il grattacielo incombente, controllò la propria immagine nel riflesso dei vetri e fece il primo passo verso la gloria!

Improvvisamente si bloccò, una piccola manina, calda e morbida, si era insinuata nella sua e qualcuno lo stava tirando per la giacca. Abbassò lo sguardo ed incrociò gli occhi più grandi, più terrorizzati, più pieni di lacrime che avesse mai visto!

“ Dimmi piccola, ti sei persa? Dov’è la tua mamma?”. La piccola per tutta risposta gli strinse ancora di più la mano tirandolo per la giacca, non una parola uscì dalla sua bocca.

“ E ora cosa voleva quella mocciosa? Possibile che un genitore l’ avesse lasciata allontanare senza dare l’ allarme?”.

Ma non poteva indugiare, oltre quella porta a vetri c’ era il suo luminoso futuro.

Bruscamente sciolse la presa da quella manina serrata: ” Beh, piccola, io devo andare, ho un appuntamento importante (ma quante spiegazioni, si stava giustificando?). Vedi quel vigile, laggiù, vicino al semaforo? Va da lui che ti aiuterà a ritrovare i tuoi genitori”

Senza voltarsi, con passo deciso, varcò la porta a vetri, si diresse verso la guardia alla reception e disse il proprio nome. Fu pregato di accomodarsi, era piuttosto in anticipo, scambiò qualche convenevole con la guardia e commentò ad alta voce l’ episodio: ” Questi genitori, fanno figli e poi non se ne curano, magari la madre sta parlando al cellulare e nemmeno si è accorta che la bambina si è allontanata!”.

Si accomodò sul divano di pelle azzurra, aprì la sua cartella e cominciò a ripassare gli appunti. Poco dopo si guardò intorno, seduta su una poltrona della sala d’ aspetto c’ era una donna in elegante tailleur grigio perla, scarpe e borsa costose, sguardo deciso e linea della mascella dura, quasi maschile. Una probabile candidata, accanita e decisa quanto lui. Le rivolse un sorriso accattivante da camerati ma lei distolse lo sguardo e rivolse la propria attenzione ad un agenda che aveva appoggiata sulle gambe. “ Che odiosa!”.

Ritornò ai suoi appunti poi, infastidito da una strana sensazione, alzò lo sguardo ed incrociò gli occhi della bambina che al di là del vetro lo fissava, immobile. I capelli scarmigliati, le spallucce rigide, il mento che tremava, lo guardava, implorante. Non si era mossa di un passo!

Abbassò subito lo sguardo fingendo di non aver recepito quell'accorato e muto appello, ora avrebbe guardato e la piccola non ci sarebbe stata più… no, era ancora lì! Una sorda rabbia s’ impossessò di lui. Ma cosa voleva? Perché poi proprio lui? Non ci sapeva fare con i bambini, non li amava particolarmente, li trovava fastidiosi e petulanti, sempre a chiedere qualcosa, sempre a cercare di attirare l’ attenzione, parassiti che ti risucchiavano tutta l’ energia!

Più infastidito che mai si alzò di scatto e si diresse verso la porta. L’ avrebbe rimproverata aspramente, doveva andare dal vigile non da lui!

La bella donna seguiva di sottecchi tutti i suoi movimenti.

“ Accidenti, e va bene. Vediamo cosa si può fare”. Non era riuscito a resistere a quello sguardo implorante. S’ inginocchiò fino ad avere gli occhi all’ altezza di quelli, immensi, della bambina: ” Ti ho detto che ho da fare. Vuoi andare via?” le disse con voce dura

Per tutta risposta la piccola gli gettò le braccia al collo e cominciò a singhiozzare silenziosamente.

Accidenti, gli stava sbavando sulla sua impeccabile camicia Oxford!

Lentamente la allontanò da sé e sulle labbra mute della piccola lesse le parole” mamma”, e, ” per favore”.

La bambina lo afferrò per la mano e lo trascinò fuori, diretta verso una strada laterale. Si girò disperato verso l’ interno del grattacielo dove aveva lasciato la sua borsa, i suoi bozzetti, i suoi appunti. Incrociò per un attimo lo sguardo attento della donna in tailleur, scrollò le spalle e si lasciò trascinare via. La bambina camminava rigida nel suo cappottino blu con le scarpette di vernice che ticchettavano sull’ asfalto, era ben vestita per la verità… ma da dove era sbucata? E soprattutto dove lo stava portando? E perché proprio lui? Voleva far presto e tornare al suo appuntamento.

La piccola lo trascinò in un vicoletto buio e fatiscente, vide delle porte di ferro, probabilmente il retro di qualche magazzino, cataste di scatoloni ammucchiati, un odore dolciastro di cibo marcio e di spazzatura. Era deserto. Ma in che pasticcio si era cacciato? Magari da quel mucchio di scatoloni sarebbe sbucato un complice della bambina e... accidenti, aveva anche lasciato il cellulare sul divano! Stava per tornare indietro quando sentì una specie di miagolio. Si avvicinò cautamente e da un mucchio di scatoloni rovesciati vide emergere una scarpa… mio Dio… mio Dio… il cuore prese a battergli all’ impazzata. La bambina, di cui si era dimenticato la presenza, si strinse a lui, tremava e muti singhiozzi la squassavano. Lasciò la presa e si avvicinò, cauto. Una giovane donna in stato di gravidanza avanzato giaceva supina, gli occhi chiusi, il braccio in una piega innaturale, una vistosa ferita sulla fronte, il sangue già rappreso.

Si chinò su di lei, le auscultò il cuore, batteva, la toccò dolcemente: ” Signora, apra gli occhi… la prego!” Ma cosa diavolo era successo in quel vicolo?

Ancora un debole lamento poi, inorridito, notò del sangue che imbrattava le gambe della donna. Si riscosse. “ Resta qui piccolina, vado a cercare aiuto”.

La bambina gli rivolse un cenno d’ assenso. Come un pazzo corse verso la strada principale: ” Aiuto, aiuto, c’è una donna ferita nel vicolo, è incinta e sta male!”.

Passanti frettolosi che lo guardavano con diffidenza, nessuno che si avvicinava.

“ Un cellulare, per favore. fatemi chiamare un’ ambulanza”.

Urlava come un ossesso, sull’ orlo delle lacrime, quasi afono. Tutta quella diffidenza, tutta quell’ indifferenza, ma non era stato così anche lui? Meglio non guardare, tirare avanti per la propria strada, non fidarsi. Finalmente una ragazza con i capelli rasta ed i lobi incoronati da una miriade di anellini si avvicinò cauta e gli porse il cellulare, avrebbe voluto piangere dal sollievo e dalla riconoscenza. Chiamò l’ ambulanza spiegando concitatamente la situazione, restituì il cellulare con un sorriso alla ragazza e corse di nuovo nel vicolo. La bambina teneva la mano della mamma, silenziosa, immobile. Quando lo vide le si illuminò lo sguardo.

“ Stanno arrivando, presto si prenderanno cura della mamma, andrà tutto bene”.

Ma non ci credeva nemmeno lui, la donna non riprendeva conoscenza. Finalmente l’ urlo lacerante della sirena, infermieri efficienti ed un dottore presero la situazione in pugno e con pochi gesti precisi caricarono la donna sull'ambulanza. Finalmente. Ora poteva andare.

“ Signore, di quanto è incinta sua moglie?”.

Sua moglie? Concitatamente spiegò tutta la situazione, affidò la bambina ad un infermiera e fece per andarsene. Due poliziotti dall'aria seria gli sbarrarono il passo: “ Signore, ci segua”. Rassegnato li seguì sulla volante. All’ imbocco del vicolo si era raccolta una piccola folla di curiosi, e tra quelli incrociò ancora una volta lo sguardo della donna in tailleur.

Ore di interrogatorio, la sua versione ripetuta all’ infinito. Era sudato, sporco di sangue, stanco e con la barba che cominciava a prudergli, il suo appuntamento del mattino era solo un pensiero lontano che oramai apparteneva ad un altro mondo, ad un’ altra vita.

“ Signore può andare, è tutto a posto, ci scusi ma dovevamo fare tutte le verifiche del caso. C’è qualcuno fuori che la sta aspettando”.

Uscì lentamente, era buio ormai, una luminosa sera stellata. Trasse un lungo respiro. Una portiera si aprì alla sua destra, ne discese un uomo, gli occhi rossi, profonde occhiaie ed un sorriso stanco, accanto a lui, la bambina. “ Siamo qui per ringraziarla, lei ha salvato molte vite oggi. Vorrei che venisse con noi, Martina ed io vorremmo farle conoscere una persona. Mi chiamo Francesco Merisi”. Una stretta forte e decisa.” Roberto Rinaldi, ciao Martina, sono felice di vedere che stai bene”.

La bambina si staccò dal padre e gli abbracciò forte le gambe, la sollevò e lei gli stampò un bacio umido sulla guancia e gli appoggiò la testa sulla spalla.

Un’ emozione intensa gli attanagliò le viscere, un dolce calore gli avvolse le membra, ma cosa gli stava succedendo? Ma che razza di potere aveva questa bambina coraggiosa che non aveva detto nemmeno una parola?

Li seguì nella macchina, parlarono per tutto il tragitto raccontandosi come vecchi amici, arrivarono all’ ospedale silenzioso nella notte: reparto Ostetricia e Ginecologia.

Entrarono in una stanzetta in penombra illuminata solo da una luce blu e dai monitor collegati, una donna pallida giaceva con gli occhi chiusi, il braccio ingessato ed un vistoso cerotto sulla fronte, la cannula di una flebo attaccata al braccio. Accanto al suo letto c'era una culla termica, la sua attenzione fu attratta da un esserino minuscolo, nero, raggrinzito che muoveva convulsamente le manine, era la cosa più bella che avesse mai visto! Gli toccò la manina e di riflesso quelle dita minuscole lo strinsero con una forza inaspettata! “ Le presento Roberto”, una voce flebile lo fece sussultare. “ E’ solo grazie a lei che siamo vivi, la nostra riconoscenza sarà eterna, lei è un angelo, vorrei che diventasse il padrino di questo bambino che porterà il suo nome e che è qui solo grazie a lei… a te”. Si commosse, si sentì amato ed accettato, in famiglia, per la prima volta nella sua vita.

Sarebbe diventato il tutore morale di quell’ esserino. Sì, sì, sì, lo voleva con tutto se stesso!

Parlarono a lungo raccontandosi le versioni dell’ accaduto, alla fine rimasero svegli solo Francesco e lui. Martina dormiva accoccolata ai piedi della madre che riposava serena nonostante tutto, nonostante la bieca violenza che aveva indotto qualcuno ad aggredire una donna incinta con una bambina: l’ avevano spinta bruscamente nel vicolo, picchiata senza pietà, strappato via tutto perfino la fede nuziale!

Ma ora erano tutti lì, sani e salvi, la vita aveva prevalso dopotutto e per lui era ora di tornare a casa. Porse la mano a Francesco che per tutta risposta lo strinse in un abbraccio caloroso emozionato ed emozionante.

Uscì silenziosamente ed in lieve imbarazzo e prese un taxi. A casa Free lo guardò con sufficienza ed altezzosità, era offeso per la lunga assenza del suo compagno di casa. Riempì la ciotola di latte, aprì una scatoletta e senza nemmeno togliersi le scarpe crollò sul letto.

Una donna bellissima gli stava baciando gli occhi, lenta la sua lingua si insinuava nella curva delle sue labbra “ Miao”, disse... Miao?! Si svegliò di colpo, una lama di sole inondava il suo letto mentre minuscoli granelli di polvere danzavano nella luce. Free richiedeva le sue attenzioni.

Aveva dormito a lungo e l’ eco del giorno prima era come la scia di un sogno.

Si guardò allo specchio: aveva un aspetto terribile. Sistemò il gatto ed intanto che usciva il caffè si sbarbò con cura. Con la tazza di caffè bollente tra le mani si immerse nella vasca per un lungo bagno ristoratore. Mentre era nella vasca un pensiero lo trafisse come una stilettata: il suo colloquio di lavoro! L’ occasione della sua vita! Era tutto perduto, non si era presentato, ma forse non gli importava più di tanto, nonostante tutto si sentiva felice, appagato, vivo. Oggi niente lavoro, sarebbe andato in città a riprendersi la sua roba e l’ auto e poi all’ ospedale dal piccolo Roberto e dalla sua famiglia. Fischiettando uscì dalla vasca si fece le smorfie allo specchio, tirò gli addominali e si fece un “ wow” di approvazione!

Jeans, camicia bianca, sneakers e via, non dopo aver arruffato il pelo al suo gatto che lo fulminò con uno sguardo di disapprovazione.

La giornata era calda e luminosa, inaspettata in quello scorcio d’ autunno, si sentiva allegro, sorrise a tutti per strada e si immerse nel vagone affollato della metro. Scese una fermata prima, passeggiò lungo il viale alberato lasciando che i caldi raggi del sole gli accarezzassero il volto. Erano passate ventiquattr’ ore ed era una persona diversa. Entrò nell’ atrio del grattacielo e si diresse verso la reception, c’ era la stessa guardia del giorno prima che gli fece cenno di accomodarsi mentre parlottava al telefono. Quando finì di parlare si diresse verso di lui per chiedergli delle sue cose lasciate il giorno prima. Stava per parlare quando le porte dell’ ascensore si aprirono e ne uscì la donna del giorno prima: ” Signor Rinaldi la prego, mi segua”. Meravigliato più che incuriosito si diresse verso la donna che si presentò: ” Marisa Melidoni, amministratore delegato della società. Venga su con me, la stavamo aspettando. Siamo tutti riuniti nell’ ufficio del Presidente in attesa della presentazione del suo progetto. Siamo rimasti molto colpiti da lei, ora vorremmo vedere cos’ ha da proporci!”.

Il cuore prese a martellargli nel petto, le gambe si fecero di pastafrolla ma solo per un attimo. Si riscosse, sorrise e seguì la donna nell’ ascensore.


Annamaria Barone 16/06/2015 10:14 1344

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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