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Allora il capo delle milizie bombardine salì sul palco della piazza del mercato e urlò: basta con questa invasione tolgono il lavoro a chi ne ha bisogno, aiutiamoli a casa loro! Il popolo applaudì, chiusero tutte le frontiere; solo che, non solo non entrava la roba, ma nessuno fuori più comprava la loro, ma il capo delle milizie bombardine si fece un bel calendario e lo distribuì a tutte le massaie che non avevano studiato e tutte lo guadavano estasiate, senza fare altre domande. Qualcuno lo prese in parola e andò ad aiutare quelli che stavano male. Orrore, quanto ci costano? Urlò il capo delle milizie bombardine e sotto sotto si mise a far uscire i cannoni dalle fabbriche di cannoni, cannoli, mostaccioli e mine ammazza bambini, che se sono di fuori vuol dire che sono cattivi. Ma si accorse che il Paese non era tutto uguale e allora disse: "facciamo un muro sulla linea del fiume delle Massaiefelici. Togliamo il sud del Paese e staremo meglio che quelli hanno troppe pretese." Or successe che l'economia lunguiva, allora decise di farsi una moneta solo per se, la moneta del Blablà e chi non la vuole male gli sta. Ora serviva altro denaro e il capo delle milizie ne face stampare a bizzeffe. Una carriola per una pagnotta, un vagone per del salame e della ricotta. La gente si mise a gridare, allora il capo dei Blablà si fece una foto con un Quacqaracquà uno che prima faceva il pagliaccio e poi si era messo con un tale di Ajaccio. Ma accortosi che la regione del nord non era come la loro, decise di dividersi anche da quelli che non avevano decoro e così il Paese dei Blablà fu quello di qui e non quello di la. Ora erano molti di meno, ma in fin dei conti ci passava anche un treno da un confine all'altro della regione. Solo che dopo un pochino inizioarono a creare un altro confine tra diverse città e il capo milizia divenne il re di una sola città, la supercittà dei Blablà. Nulla si sapeva di ciò che accadeva di fuori, dentro la città se ne dicevan di tutti i colori. Parlavano solo il loro dialetto per fare a quelli di fuori un gran dispetto. Ora accadde che di quel Paese per molto tempo nulla si seppe, qualcuno diceva che all'interno tutti erano felici anche se stipati come tante alici. A un certo punto passò davanti al portone un tale di Altrove e provò a bussare all'ingresso della città, ma nessuno rispose. Spinse il portone ed entrò dal terzo torrione. Dentro la città non c'era nessuno, tutto impolverato, tutto assai sporco, come se la fogna fosse riuscita dal porto. Incuriosito il tale di Altrove visitò ogni casa e alla fine nell'ultima bicocca trovò un tale con una barba lunga che danzava da solo e ripeteva, sovranità sovranità noi siamo quelli che vivon di qua. Il tale senza parlare mise del latte su una sedia mezza rotta e un tozzo di pane, per quel poveretto che non aveva ormai neanche un tetto. Poi andò via dove non so, come non so se quel tale ha poi bevuto il latte e mangiato quel pane, ma questa è la vita buffa e stranita. La morale? Ordunque siamo tutti terrestri abitanti di questo pianeta sia che abitiamo alla A che alla Zeta. |
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Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.
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«Ogni riferimento della favola a fatti o persone reali è del tutto casuale, questa fiaba non ha alcun riferimento a nessuno.» |
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