Camilla, ogni volta che sento questo nome, ritorno al ventenne che ebbe la fortuna di conoscerne una, vivendo momenti unici.
A venti anni, frequentavo il terzo liceo classico (avevo avuto delle pause durante le medie) e per tutti gli anni da studente ero capitato immancabilmente in classi maschili. Quell’anno, grazie ad un trasferimento improvviso di papà, mi ritrovai in un liceo nuovo e, miracolo dei miracoli, in una classe mista, dove la percentuale femminile superava quella maschile; e ancora più straordinario, per una fortunatissima combinazione, avevo come compagna di banco, Camilla. Chi era? Presto detto: il concentrato naturale di curve, di vuoti e di pieni, e la prorompente bellezza che può avere solo una diciottenne, nel pieno della sua formazione fisica. Preferisco non entrare nei particolari, ma ogni suo particolare era da favola.
Per la prima settimana sembravo muto, frastornato da tanta abbondanza, dopo anni di siccità. Naturalmente il mio pensiero non andava che in una sola direzione. A sognare, la sognavo e, nelle mie notti, era lei la protagonista e ogni tanto mi svegliavo con tanto di rigidità nelle parti intime. Io non ero da buttare ma lei era semplicemente da dieci e cento lodi. Biondina, occhi verdi, nasino all’insù, seni e fianchi da favola, gambe lunghe e diritte, estroversa, simpatica, spirito d’ iniziativa (poi capirete perché) e poi emanava un profumo naturale che sapeva semplicemente di voglia di vivere e di osare.
Fino a qui niente di speciale, ma l’ottavo giorno avvenne l’impensabile. Stavamo in classe, verifica di matematica e lei mi chiese se potevo darle una mano. Facendo così la sua scivolò sulla patta dei miei pantaloni e fece un giro di perlustrazione, mentre io, irrigidito, sudavo freddo. L’ operazione durò pochi minuti e potete facilmente dedurne le conseguenze. Mi sentivo come uno dei 3oo di Epaminonda contro gli Immortali, ma riuscii a controllarmi e soprattutto a non gridare. Fortunatamente poi eravamo all’ultimo banco e difficilmente qualcuno poteva accorgersi della cosa.
Io credevo di aver fatto colpo su Camilla, ma lei mi fece subito capire che non voleva problemi di cuore e che l’aveva fatto solo perché, in quel momento, le era passato per la testa di cosarmi (questa la parola usata da lei). Valle a capire certe donne; ma i momenti più intriganti si realizzarono una settimana dopo. Stavamo in palestra, partita di pallavolo maschi contro femmine, quando lei si allontanò, perché indisposta. Nel farlo mi lanciò uno sguardo che era una vera e propria provocazione. Dopo qualche minuto, feci finta di essere caduto male su un piede ed ebbi il permesso di raggiungere gli spogliatoi.
Passando per quello delle ragazze, notai che lei era affacciata a una finestra, di spalle. Era meravigliosamente provocante: un pantaloncino che copriva solo i glutei, una maglietta leggera e sotto niente, solo quel ben di Dio che madre natura le aveva così abbondantemente elargito. Mi avvicinai nel silenzio del momento che fu rotto da un “ Prendimi” di lei. Non so dove presi il coraggio, ma sembravo un operaio alla catena di montaggio: baci, carezze, carezze, baci e mani ovunque e sentivo sotto di loro il paradiso.
“ Muoviti” fu la sua seconda e ultima parola. Allora il coraggio raddoppiò, l’eccitazione si moltiplicò e decisi di andare all'attacco; proprio in quel momento suonò la campanella e fui costretto a raggiungere di corsa il mio spogliatoio, con le mani impegnate in ben altro.
Non è capitata una seconda occasione ed io sono ancora lì, dopo quaranta anni, a sentire le sue parole, il suo corpo meraviglioso, incollato a l mio, e le sue splendide forme, in un progetto lasciato a metà sul più bello.