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Galif e la maligna Almafar

Fantasy

Quanta curiosità suscitava quella ampia bolla trasparente posta tra le torri d’ un piccolo castello tinto di giallo. Si trovava in un piccolo reame lontano lontano. Dominava la collina del luogo, dentro, grandi opalescenti libellule vivevano prigioniere, dove, per esse, le stagioni segnavano sempre lo stesso orizzonte. Le possedeva una maga rancorosa e crudele assai temuta per i suoi sortilegi che non esitava a esercitare su chi le appariva inviso e assai bello. Sconosciuta restava la provenienza dei coloratissimi insetti che apparivano sempre più numerosi. Più a valle si trovava un bianco castello merlato dove vivevano due saggi e magnanimi sovrani amati e serviti dal loro popolo. Erano re Sidri e la regina Sufi, sempre tanto tristi a causa della perdita del piccolo principino che in una notte di temporale era stato rapito dalla sua stanza e mai più ritrovato. Vialetti e spazi con fontanelle davano stile e allegria al posto, quella che purtroppo la regina Sufi non riusciva mai ad avere perché continuamente sconsolata per la mancanza del figlioletto amato. La vita comunque, come sempre avviene, aveva preso il sopravvento e i giorni scorrevano consumati nelle solite incombenze. Si deve sapere che si stava avvicinando la festa di Primavera e in paese fervevano i preparativi che quell’ anno avrebbero visto come ospiti d’ onore il re e la regina. I sudditi desideravano suscitare almeno per un giorno il sorriso sul dolce volto della sovrana per levar via il velo di tristezza che sempre lo copriva .Grimilda, la figlia del pasticciere, essendo la più bella del paese, adornata di fiori sarebbe stata la reginetta davanti alla quale assieme ai sovrani si sarebbero svolti giochi popolani semplici, ma assai divertenti come del resto era lo spirito di quella brava gente. Almafar, questo era il nome della odiosa maliarda, invidiosa della gioia altrui, si stava gia preparando per rovinare quella festa. Era nata Fata deforme, ma il padre dei maghi Hifron l’ aveva dotata di grandi poteri per compensala della sua bruttezza. Così facendo era certo di aiutarla ad essere accettata dagli altri. Invece la perfidia aveva segnato il suo cammino! Intanto cantando e fischiettando, il paese era un brulichio di persone intente ognuna ad allestire ciò che serviva affinchè la festa riuscisse gradita e lieta a chiunque avesse desiderato parteciparvi. Ognuno intendeva offrire qualche cosa di suo, e Grimilda nella sua bottega, era intenta a preparare dei particolari dolcetti che avrebbe offerto alla festa, mentre i genitori erano andati al mulino a prende altra farina dal momento che avrebbero dovuto sfornare tanto pane e dolci. Col sopraggiungere della sera il tramestio si calmò, nelle proprie case la gente si preparava alla cena ma in quella del pasticcere Grimilda mancava, allora il padre in ansia andò di casa in casa pensando di troverla, ma alla fine nessuno seppe dirgli niente e trattenendo lacrime di paura ritornò a casa dalla moglie anch’ essa in trepida attesa. Il giorno dopo non si parlava d’ altro al paese e fu così che Galif il figlio del sarto, noto per essere un giovane intrepido e disinteressato, decidesse di chiedere aiuto ai regnanti, sapendo quanto essi fossero liberali con il popolo..Egli essendo figlio del sarto, andava spesso a palazzo per prendere le misure degli abiti da confezionare e a volte si intratteneva con la regina la quale gli dimostrava simpatia e piacere di dialogare con lui. Anche egli godeva di quella vicinanza, quasi si scordava fosse la regina Sufi e standole accanto non poteva non osservare il suo bel volto reso mesto da una afflizione interiore che non la lasciava mai, e allora rivedeva sua madre a bottega che seppur stanca di lavorare cantava e sorrideva contaggiando di allegria chi le stava accanto. Partito che fu a cavallo, iniziò la strada che conduceva al castello. Rasentò il bosco e superatolo gli si aprì una distesa di prati da dove si poteva intravvedere molto distintamente la collina con la trasparente cavità sferica contenente i delicati insetti volanti. Allora sentì montargli dentro quella rabbia che di solito si illudeva di trattenere per quella crudele forma di vanità ostentata. Insetti solitamente nati per volare liberi sulle acque dei laghi, umiliati ad una prigionia crudele. Le loro ali catturando la luce riflettevano sfumature d’ arcobaleno facendo apparire la cupola una splendida bolla di sapone. Di questo Almafar andava fiera e la sua vanità malsana era soddisfatta. Seguendo un impulso recondito decise di avvicinarsi alla proprietà della maga deviando la meta, ben sapendo di rischiare molto. Mentre lo faceva pensava:” Come sarebbe bello liberare tutte quelle libellule proprio il giorno della festa di Primavera.” Ma questo naturalmente era irrealizzabile e il giovane a malincuore se ne rendeva conto. Già immaginava la maga guardinga pronta a porre dei limiti al suo avvicinamento. Egli tuttavia proseguiva affascinato sempre più dalla meraviglia che sprigionava quella volta enorme trasparente. Non riuscì a fare molti passi dopo esser sceso da cavallo che si sentì sprofondare il prato sotto i piedi e superato lo spavento si ritrovò in un lungo corridoio di terra, scuro ma che in lontananza lasciava intravvedere una tenue lucina. Iniziò a camminare con cautela comprendendo che Almafar aveva colpito. La notte intanto era calata, le stelle piano si affacciavano dal nero del cielo illuminando un intorno che appariva pieno di ombre e di mistero più che mai. Nella sua vitalità di giovane, dopo aver tratto un profondo respiro continò ad avanzare verso quella luce che s’ intravvedeva e che lo incuriosiva. Pensava: ” Cosa mai mi succederà adesso, avrei dovuto proseguire dritto per la strada e pensare a Grimilda bisognosa d’ aiuto, ho sbagliato ad avvicinarmi alla dimora della maga.” .Ecco che il corridoio si allargava e arrivato all’ ingresso di una grande stanza si trovò davanti una sagoma avvolta in un lungo mantello che si reggeva ad un contorto bastone. Il fuoco d’ un grande caminetto creava un alone di luce che lasciava nell’ ombra il volto della persona che gli stava davanti. Sorpreso non poco e molto timoroso sentì parlare:” Chi sei, come hai osato avvicinarti alla mia proprietà,piccolo presuntuoso uomo, non temi dunque i miei potenti poteri oppure li ignori? Ha! Ha! Ha!... rise la voce in tono acuto e minaccioso.” Io sono Almafar, la potente maga ed ora che mi hai incontrata dovrò ucciderti, perché nessuno deve conoscere il mio aspetto.” Il giovane seppur valoroso un po’ di paura incominciava a povarla, ma cercava con la ragione di trovare in fretta una soluzione per evitare una sua probabile fine .Figurava Grimilda in pericolo ed egli che veniva meno a darle l’ aiuto pensato, soffriva per i suoi genitori che avrebbero perso il figlio nel tempo della lora vecchiaia, provava tanto sconforto per la perdita della sua vita che aveva immaginata ancora lunga e felice. E poi quelle libellule prigioniere, era per loro che adesso si giocava questa dura partita. Galif seppur con i battiti del cuore a mille trovò la forza di parlare:” Quale è la fonte della tua perversità,gioisci nel creare il male là dove stà fiorendo la felicità, scagli la tua magia e sempre più sei odiata e temuta da tutti, costretta a vivere isolata e nascosta.” Lei ascoltava, fremeva nel sentirsi giudicare e la sua rabbia montava, montava finchè alzato il bastone pronunciò alcune parole magiche e indicando Galif volle colpirlo, ma egli prevedendo l’ azione riuscì a sottrarsi e a scappare per le altre stanze del castello. Almafar lo seguiva furente lanciando raggi incantati che il giovane con la sua agilità evitava, con il respiro affannato correva finchè s’ imbattè in una colonna alta. Con le gambe forti di giovane si arrampicò sino alla fine e meraviglia, stava accanto alla volta trasparente. Immobile la guardò stupefatto. Dentro essa le libellule volavano in una continua spasmodica frenesia. All’ orecchio gli giunse l’ eco d’ un bisbigliato canto:” Libellule sembriamo, trattenute nel tempo, lontane da chi amiamo, in attesa d’ un impavido che spezzi il nostro incanto.” Almafar furente da sotto urlava:” Sciocco ragazzo, non hai scampo, non potrai fuggire da lassù.” Cercando nel contempo di colpirlo con saette di luce magica che provenivano dal suo bastone. In quei momenti Galif credette d’ essere proprio perduto, sapeva che la maga stava dicendo il vero. Noi tutti sappiamo che ad assere generosi non passa inosservato,, e fu così che Hifron, il padre dei maghi, decidesse che quel disinteressato giovane che aveva anteposto il bene alla propria paura, andasse aiutato. Il mago si fece colomba bianca e volato accanto al giovane gli porse una piuma dell’ ala dicendogli:” Meriti di essere aiutato, sappi far buon uso di essa. Ti servirà per scrivere nell’ aria ciò che desideri nell’ attimo di difficoltà.Non sarà impresa facile ma ti auguro di riuscirci.” Ora Galif, più calmo, ascoltava quel sommesso canto proveniente dalla bolla e lo giudicò un messaggio d’ aiuto. Quando un raggio della maga quasi lo colpì egli con mano tremante scrisse nell’ aria:” Vorrei tanto sopravvivere, ma prima desidero che le libellule sia nuovamente libere di volare lontano in ogni luogo a loro adatto.” Polvere di stelle dorata tingeva l’ aria fresca di parole e quando ebbe finito si accoccolò, sentendosi sfinito. E’ risaputo che nessun incantesimo dura se a combatterlo subentra l’ amore sincero e disinteressato.!La maga intanto da sotto gridava:” No, no, non può succedere, maledetto!” Ella vedeva sciogliersi la bolla e libellule di tutti i colori volavano nell’ aria attorno a Galif. Una gli si posò sulla mano ed egli avvicinandola al cuore con gli occhi chiusi disse:” Vai, delicata creatura, ora sei libera assieme alle tue compagne, colorate l’ aria di sfumature di cielo, specchiatevi sulle acque che aspettano di riflettere la vostra bellezza.” Ci fu un fruscio intenso di ali e il giovane riaprendo gli occhi si trovò accanto Grimilda che lo guardava sorridente, poi girò la testa e tante deliziose fanciulle dagli abiti colorati chiachieravano contente. Raccontavano accavallondosi nelle parole concitate che Almafar le aveva mutate in libellule, perchè invidiosa della loro bellezza. Si seppe che alcune erano principesse di altri regni scomparse improvvisamente e che i famigliari continuavano a cercarle disperati. La gioia di Galif era incontenibile e colse quel momento per dichiarare il suo amore a Grimilda che suggellandolo con un dolce bacio accettò felicemente. Con la penna magica il giovane scrisse ancora nell’ aria il desiderio di voler lasciare Almafar addormentata per il tempo della fuga e venne esaudito. Scesero piano dalla colonna e ritrovato il cavallo Galif propose di recarsi dai regnanti per chiedere loro un aiuto Esse oramai avrebbero atteso volentieri perché assai appagate della conquistata libertà.Così Galif arrivato a palazzo raccontò l’ incredibile storia e mentre la regina dava ordine alle sue guardie di andare a prelevare le fanciulle e portarle a palazzo, notando l’ abito sdrucito del giovane gliene offerse uno nuovo. Galif era esultante mentre si cambiava d’ abito e si ripuliva, la regina Sufi lo ascoltava quando gli notò sulla spalla una voglia a forma di foglia che stranamente aveva il suo bambino nella stessa posizione Fu assalita da un mancamento ed il cuore le ruzzolò nel petto, ma nascose la sua forte sensazione. Lei non immaginava che all’ epoca della nascita del principino, Almafar invidiosa della gioia dei sovrani, avesse deciso di sottrarre il piccino per allevarlo lei stessa con l’ idea di farlo diventare un mago, ma in quella notte imperversava un tremendo temporale ed un fulmine interferì con la sua magia, il piccino cadde nel bosco in una radura e lei suo malgrado, non ne seppe più nulla. Lì sarebbe rimasto, se il giorno dopo, il sarto tagliando legna non lo avesse rinvenuto.. Sorpreso lo aveva portato a casa, dove sua moglie nel vederlo aveva immediatamente deciso di accoglierlo, sapendo di non poter avere figli. Gli diedero il nome di Galif e da quel momento vissero felicemente grati alla sorte come se avessero trovato un tesoro. Intanto Grimilda era stata salutata con grandi esternazioni d’ affetto dai popolani e ritrovato lo spirito giusto, ognuno si preparò alla imminente festa di Primavera. Gli araldi del re sparsero la voce in altri regni del ritrovamento delle fanciulle, in breve si venne a sapere che tante erano anche delle principesse cercate invano ovunque dopo la loro scomparsa. Nel castello re Sidri e la regina Sufi timorosamente provavano ad aprire la porta ad una speranza che ben presto spalancò quella della felicità.Dopo aver avuto spiegazioni da parte dei genitori di Galif che raccontarono come si erano svolti i fatti, il giovane venne ufficialmente decretato figlio del re Sidri e della regina Sufi nonché principe del reame. Non gli era stato difficile dividere il suo cuore con i nuovi genitori perché inconsapevolmente si era sempre sentito attratto dalla loro personalità senza però darsi una spiegazione valida. Venne il giorno della festa, musica e balli e buon cibo accompagnarono tutti i partecipanti che alla sera tornarono alle case felici e soddisfatti. La regina finalmente aveva ritrovato il figlio che mancava da troppi anni ed di questo erano tutti soddisfatti. Quando Almafar lo venne a sapere schiumò di rabbia e pensò subito di colpire con qualche incantesimo quel giovane che con la sua audacia le aveva scompaginato l’ amata crudele esistenza, togliendole il gusto di far del male. Si seppe poi che Grimilda sarebbe andata sposa del principe Galif, seppur diventato nobile per lui l’ amore non era mutato, essere sarto o principe non faceva differenza, ad amare Grimilda, prima di tutto, rimaneva un uomo. Le nozze si sarebbero tenute al castello e invitate furono anche le famiglia delle fanciulle ritrovate, tanta gente, nobili, cortigiani tutti accumunati per una doppia felicità, quelle di un figlio ritrovato e un matrimonio d’ amore. Ad un certo punto della cerimonia, d’ improvviso una scura ombra calò su tutto, un grosso uccellaccio nero entrò nella sala lanciando saette di luce dagli occhi verso Galif, ma egli previdente portava con sé la penna magica stretta alla cintura. In cuor suo aveva immaginato che Almafar si sarebbe vendicata e mentre tutti i presenti emettevano suoni di paura egli scrisse velocemente nell’ aria scura:” Desidero che questo uccello tale rimanga, che voli lontano dalla gente e viva soltanto sulle alte montagne dove non potrà mai più usare la magia per procurare del male. Quelle parole di polvere di stelle intrappolarono come in una rete l’ uccellaccio che fu portato in volo lontano da quel reame. Il matrimonio ebbe un finale lieto e la vita degli sposi iniziò serenamente illuminata dall’ amore. I genitori adottivi andarono a vivere a corte come sarti personali dei sovrani in modo che poterono godere della vicinanza del loro amato figlio. Finalmente in quel castello i sorrisi e l’ allegria avevano spazzato via come un temporale la mestizia che ivi regnava da anni. Ora in quel reame la vita poteva riprendere la laboriosità perduta e tutti vissero felici e contenti.

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rita iacobone 28/04/2014 15:43 1390

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