Il vento infrange gli ultimi barlumi di coscienza nello sbattere di serrande questa notte, e il presunto uomo attende solo il calar di sipario delle palpebre, e fisiche, e mentali.
Chiudendo gli occhi ricordo la poesia d’ un certo autore italiano, il famoso Giovanni Pascoli, uomo infelice e poeta subime. Lo ricordo nell’ osservare le strane forme di luce che rimangono come impresse nelle pupille quando colpiti da un bagliore richiudiamo le palpebre. Queste saette luminose rimangono scolpite immaterialmente nella roccia delle sensazioni e per qualche istante risultano ancora osservabili. Sono minuscoli dettagli che solo le persone più attente possono cogliere, e Pascoli, con la sua poesia, ha dimostrato di essere una di quelle. Queste persone possono risultare strane, fuori luogo o, ancor peggio, perdenti nella vita pragmatica ad una prima analisi. Queste persone sembrano incapaci di cogliere l’ essenza solida, materiale, respirante della vita. Queste persone non si sentono a proprio agio con il loro corpo e con quelli altrui. Queste persone sembrano anacronisticamente vive, distratte, e incapaci di cogliere la cosa più essenziale: la vita stessa.
Io sono un povero piccolo portoghese, appassionato di lettere e totalmente inutile agli occhi della società. Sono forse colpevole? Istintivamente la risposta sarebbe un secco sì. M’ interesso di tutto ciò che sembra non avere un minimo senso ai fini di un’ esistenza dedita alla vita attiva, e per attiva intendo una vita mirata al “ progresso”, alla scienza, alla globalizzazione, all’ edonismo e alla società. Totalmente estraneo al marasma del formicaio che lavora, fatica e si spreme per poter sopravvivere.
Quando guardo un albero mi fermo dinnanzi ad esso e lo fisso. Lo contemplo, quasi come se volessi provare a sentire la sua voce. Vorrei abbracciarlo e sentire la sua linfa pulsare. Penso a quanto le sue radici abbiano scavato il terreno e a quanta fatica gli sia costata per ramificarsi in milioni di segmenti verdi, colmi di foglie e pulsanti esistenza. Non mi riesce di pensare quell’ albero in altro modo. Non mi riesce di osservarlo cercando di immaginarlo in una sua funzione più duttile e pratica e utile. Non riesco a vedere in quell’ albero un futuro tavolo, oppure una sedia, oppure il rivestimento di una casa, oppure ancora un’ immane nave. Non riesco ad indirizzare il mio pensiero in una direzione che risulti pragmatica.
Forse che quelle persone cosiddette “ perdenti” siano affini a questo mio modo di pensare?
Forse sto lasciandomi trasportare da vacue correnti di pensiero e fuorvianti convinzioni e non riesco ad accorgermi di vedere la vita scorrere indifferente?
Forse credo di saper osservare meglio ed invece nascondo la testa infilandola sotto terra come gli struzzi?
Ebbene sono stufo di pormi tutte queste questioni inette.
Credo anzi che “ scavando” con la testa dentro al terreno io possa minimamente sentire il battito della terra. Credo che indagando la terra che si sbriciola sotto i miei piedi possa mirare all’ essenza di ciò che mi circonda. Penso che ci sia chi è portato ad indagare la natura secondo regole matematiche, chi secondo formule finanziarie, chi secondo leggi giudiziarie, chi secondo affetti carnali, chi, infine, non sia affatto portato ad indagarla!
Io sono fatto così, minuzioso osservatore delle cose più inutili. Conversatore di tematiche vacue, coltivatore di parole volatili, consumatore di risorse evanescenti.
E se tutto questo consiste in un maledetto non- senso, non mi resta che sopravvivere e cercar di sorridere.
Riuscirei mai a considerarmi una brava persona? Potrei mai ricordare ogni azione, anche la più stupida, che ha caratterizzato il corso della mia vita? Quello che viene definito pragmatico ha, in fondo, un senso realmente utile e scientificamente provato nei confronti di un’ esistenza immensa nella quale siamo, inconcepibilmente ed incoscientemente, catapultati?
Allora non resta che lasciarmi cullare dalle mille milioni di miliardi di rappresentazioni effimere, che come i fasci di luce che rimangono stampati quando le palpebre si chiudono, caratterizzano la mia limitata veglia, che proprio come in questa notte e così in quelle che verranno, attende il Grande Sonno.
Narciso Soares