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Piccola Duna

Fantasy


Non è trascorso molto tempo,, ma la vita mi ha già segnato abbastanza e oggi mi va di raccontarvi un po' di me. Sono nata tre anni fa in podere confuso tra boschi rigogliosi che offrono tanto legname. Per la mia nascita, come d'uso, si è festeggiato con l'augurio che potessi crescere forte e sana e quindi aggiungermi come valido aiuto al lavoro dei proprietari, coltivatori e boscaioli. Non l'avevate capito? Io sono una somara molto carina tutta grigia con le orecchie bordate di peli neri, ma all'epoca dei fatti ero una dolce puledrina alla quale diedero il nome di Duna. Là vivevo con mia madre assieme ad altri tre asini maschi giovani e robusti. Durante il giorno essi andavano su per i sentieri con le gerle sulla groppa da riempire con il legname che poi avrebbero portato a valle. Mamma per il momento non poteva svolgere il solito lavoro, poiché impegnata a svezzarmi e così ce ne stavamo tutto il giorno nel campo vicino casa, lei a brucare l'erba io a succhiare il suo buon latte ogni qualvolta ne sentivo il bisogno. Tuttavia essa, ogni tanto, mi stimolava ad osservare il comportamento degli umani, ma in verità non è che comprendessi a fondo ciò che essa mi voleva insegnare. Mi diceva:” Senti cosa ti dico piccola, noi animali qui, siamo fortunati, i padroni sono persone gentili e coscienziose, ci rispettano trattandoci come si conviene alle nostre esigenze e noi in cambio ci dimostriamo remissivi e ubbidienti e spesso ci scappa anche qualche tenera carezza. Quando ti riterranno pronta per il lavoro, abitueranno anche tè a portare dei pesi sulla schiena aumentandoli a poco a poco,, altrimenti sanno che ti rovineresti gli zoccoli e poi non saresti più utile a loro.” Io ascoltavo curiosa e intanto correvo sull'erba e scalciavo contenta. La stalla dove ci ricoveravano alla notte, era tenuta molto bene con fresca paglia giornaliera e acqua pulita nel secchio. Noi asini, me lo aveva detto mamma, non beviamo mica se l'acqua non è limpida, ci rifiutiamo anche se siamo tanto assetati. I mesi passavano ed io mi divertivo correndo, dando calci a cose che non avrei dovuto toccare, sollevando ciuffi di fieno appena sistemato, ma mi lasciavano fare tolleranti, ero così piccola ancora.!Non mi mancavano certo le carezze degli uomini e neppure le attenzione della mamma. Quando stavo per compiere un anno di vita ed ero pronta per imparare l'obbedienza ai comandi del fattore successe una grave disgrazia. La casa e la stalla adiacente andarono a fuoco nella notte, forse tutto iniziò per la sbadataggine di qualche aiutante, le fiamme guadagnarono presto terreno incenerendo cataste di legno pronte per la vendita ed ogni altra cosa infiammabile . Noi animali che eravamo nella stalla a dormire fummo svegliati già prima dal crepitio di ciò che stava bruciando fuori e ci allarmammo impauriti, i nostri ragli di aiuto si confusero con i muggiti, i nitriti impazziti di Akemi, il cavallo che era addetto al traino del grande carro dei fattori, il mio cuore batteva forte e addossata a mamma chiedevo conforto. Ho ben presente ancora come Akemi con una forza dettata dallo spavento corse verso l'entrata della stalla e alzandosi sulle zampe posteriori incominciò a dare colpi con quelle anteriori fino quando non cedette la porta di legno ed uscì all'aperto nitrendo e correndo lontano come impazzito. In quel momento mamma incitò anche me a seguirlo dicendomi:” Và Duna, presto, esci anche tu subito, non attendere neppure un altro attimo, ormai le fiamme ci stanno raggiungendo e appena toccheranno la paglia sarà un inferno qui.” Io fiduciosa mi girai e corsi ubbidiente fuori in quegli attimi che mi offrivano la salvezza, non vidi le balle di fieno sbarrare il passaggio tra l'apertura della stalla e l'angolo dove stavano gli asini, erano cadute dal soffitto ormai incendiato irreparabilmente. Nell'ombra tinta di riflessi rossi aspettavo mamma e i compagni, in un angolo distante dalle urla e le incitazioni degli uomini che correvano con secchi d'acqua, tubi di corda, randelli in un caos tremendo che faceva veramente terrore. All'alba dopo tanto lavoro vidi uomini sconsolati piangere seduti per terra, sporchi di fuliggine e sudati, seppi dai loro discorsi tristi che i padroni non ce l'avevano fatta a mettersi in salvo e neppure alcuni animali, e sperai che mamma non fosse tra quelli. Invece in quel rogo erano morte le tre mucche, qualche pecora, galline, asini, tutti erano là, carbonizzati tra resti che chiedevano solo compassione. Allora compresi che ero rimasta sola, e i miei ragli divennero pianto lamentoso e struggente, ma incompreso da uomini distolti dal loro dolore creduto inesistente per me .Impaurita e tremante passai la notte nello stesso angolo senza muovermi guardando quello che intorno accadeva, mi passavano vicino, ma era come se fossi trasparente, a nessuno veniva in mente di portarmi in un luogo più tranquillo e sicuro. Il giorno mise in luce quasi con discrezione un rogo che con rimasugli di fumo ricordava quanto fosse stato distruttivo. E poi un camioncino si avvicino e ne uscì un uomo giovane che sentii chiamare Marzio, accostatosi a me io lo guardai con occhi tristi mentre ancora tremavo, ma egli con un gesto stizzoso strattonò la cavezza che portavo al collo e brontolando mi ordinò di salire sul camion in fretta poiché egli non aveva tempo da perdere. Mi intimoriva quell'essere proprio ora che avevo più bisogno di comprensione, appariva così mal disposto verso un animale e allora ragliai in continuazione mentre mi spingeva dentro il mezzo e non smisi fino a destinazione incurante di lui che seduto alla guida imprecava e mi prometteva botte non appena fossimo arrivati .Era una splendida mattina con un sole caldo, ma io tremavo, cosa mi riservava il domani? Arrivammo in un vasta fattoria e per prime vidi oche e galline e tacchini che razzolavano indisturbati per l'aia, lontano si sentiva il muggito delle mucche al pascolo e una grande casa gialla stava a lato del campo recintato con del legno. Uomini, ragazzi e donne ognuno intento a svolgere un lavoro diverso e nell'aria gli echi del tramestio che essi facevano. Provai una specie di speranza e pensai:” Forse quest’ uomo mi lascerà in questo luogo, certamente avrò nuovi padroni che mi aiuteranno a crescere e la vita anche per me ricomincerà." Invece mi fece uscire dal mezzo tirandomi quasi giù senza darmi il tempo di muovere le zampe, mi diede un paio di calci al sedere gridandomi:” Questi te li avevo promessi dal momento che mi hai disturbato i timpani con il tuo sgradevole raglio tutto il tragitto, ed ora fila dritta nella stalla, là troverai altri tuoi simili e da domani si incomincia a lavorare, bella mia.” Oh povera me, come mi ero sbagliata, egli era il mio padrone! .Mentre mi avviavo al ricovero mi girai a guardare coloro che lavoravano intorno, le loro facce così tese, gli sguardi sottomessi si fondevano con gesti fiacchi, era evidente, a quei contadini mancava entusiasmo e serenità quello che io avevo imparato a conoscere nella casa appena lasciata. Ora percepivo che nei miei futuri giorni avrei assaggiato più bastonate che fieno. " Nella stalla trovai altri asini, si riposavano dopo una giornata segnata dalla fatica più dura. Mi accolsero bene, a qualcuno non gli importò poi tanto chi fossi, ma uno disse di chiamarsi Arno e l'altro il più vecchio del posto, Tobia. Questi mi parlò:” Oh, poveretta, dove sei capitata, il nostro padrone è il peggiore che si possa avere,è crudele, insensibile, egoista e gode a darci le bastonate sul corpo, crede che siamo fatti di gomma, perciò non considera la fatica alla quale ci sottopone e si arrabbia da matto se non portiamo a termine il lavoro, guai a chi si ferma, ma ancora peggio chi si impunta dimostrando disubbidienza, lo lascia legato stretto per un giorno dopo averlo ben unto con le legnate. Marzio non sa che se trattati con gentilezza noi diventiamo svelti, docili, simpatici, leali e socievoli. Abbiamo tante buone qualità che quest' uomo ci impedisce di dimostrare.” A tali parole mi sentii veramente persa, stordita, troppe era state le emozioni in poco tempo. .L'indomani mattina sul presto Marzio arrivò gridando:” Muovetevi, tutti fuori che altrimenti vi faccio assaggiare questo zuccherino, mostrando il bastone che teneva in mano, vi prepariamo con le gerle e poi si va sul sentiero a prendere la legna già segata e pronta.” Immobili sull'aia ad ognuno fu poggiato sulla groppa e legato attorno alla pancia, un pesante basto con due gerle ai lati, e quando toccò a me con quel peso addosso credetti di sprofondare nel terreno, se solo avessero guardato i miei occhi che supplicavano clemenza..Non ero ancora adulta, ma nessuno se ne accorse, neppure l'aiutante che mi preparava, eseguì gli ordini e restò silenzioso. Un sonoro fischio diede inizio alla camminata che vide gli asini più giovani davanti salire piano, penultimo Tobia che ormai vecchio mostrava la sua difficoltà e ultima ero io che con uno sforzo inumano tentavo la salita. L'uomo nel vedermi così lenta iniziò a darmi dei colpi alle zampe rimproverandomi di muovermi che il lavoro aspettava. L'asino per natura è molto resistente e questa forza si fece sentire, parecchio dentro me, anche se ero ancora molto inadatta a sopportare i pesi, diverse volte andammo su e giù ricevendo ogni tanto colpi e bastonate di incitamento. Alla sera stanchissimi ci ricoverammo nella stalla, l'addetto portò del fieno per mangiare, a me però, mancava la forza tanta era la spossatezza che avevo addosso. Tobia disse:” Piccola Duna, ti conviene mangiare un po’ alla volta,, altrimenti se Marzio s'accorge che qualcuno non lo fà, per timore che il giorno dopo non possa lavorare, si arrabbia moltissimo fino a bastonare chi ha rifiutato il fieno. Quindi vedi che non c'è soluzione, siamo intrappolati in questa immeritata esistenza.” Passarono giorni e mesi e nella pesantezza di sopportare angherie continue ero veramente al limite della sopravvivenza, dimagrita e con il pelo opaco, sembravo un'asina vecchia e stanca, ma il padrone o chi per lui non lo notavano o facevano finta e ciò mi inquietava ancora di più. Una sera mentre eravamo nella stalla cercando quel riposo che per un paio di ore faceva dimenticare il perfido presente, Tobia, l'asino vecchio mi disse:"Duna cara, non riuscirai a sopportare a lungo questi sforzi, la tua natura forte ti aiuta, ma è stata troppo presto forzata, quindi io ti consiglio da vecchio saggio appena trovi l'occasione scappa via, va lontano più che puoi, forse non sai che noi asini siamo nati per la corsa, quindi solo così potrai sperare di cambiare il tuo destino.” Gli risposi:” Tu dici bene, spesso ho pensato di farlo, ma come, dove andare da sola e inesperta come sono, piena di paura e debolezza, non ci riuscirei, mi ritroverebbero e allora si che patirei l'ira tremende di Marzio che sentendosi tradito mi punirebbe con tremende sevizie.” Però quel consiglio in me aveva trovato terreno fertile e continuando a sopportare la dura vita, nei pensieri lentamente germogliava. Non so proprio come, ma ce l'avevo fatta a compiere due anni e senza accorgermene diventavo femmina feconda. Notavo di sera nella stalla una strana inquietudine dei maschi asini, che mi annusavano avvicinandosi emettendo un raglio discreto, quasi sussurrato, mentre io tentavo di evitarli. Ed una sera uno di loro più intraprendente, tanto si strusciò che mi saltò sulla schiena e mi montò. Non mi opposi, inconsciamente sentivo che era una cosa che si poteva fare, e così fu. Entrambi avevamo seguito un impulso utile alla conservazione della specie senza opporsi come spesso invece fanno gli esseri umani, creando confusione nell’ armonia della vita. Il giorno dopo mentre salivamo sul ripido sentiero, Tobia diede segni di mancamento e poco dopo stramazzò a terra, la legna contenuta nelle gerle si sparse dappertutto rotolando giù per il pendio, ci fermammo mentre Marzio imprecando si avvicinava all'animale e pungolandolo con il bastone sulla pancia cercava di scuoterlo incredulo di aver perso un asino. Io guardavo a terra quel povero somaro che aveva dato tutto di sé senza mai ricevere niente in cambio. Neppure un po' di pietà era concessa al vecchio Tobia. Adesso ero veramente di nuovo sola, il mio destino era di perdere tutti coloro che mi dimostravano un po' di benevolenza, forse restava Argo l'unico asino che a volte mi parlava. Nei giorni che seguirono incominciai a sentirmi nervosa, scalciavo per un non nulla e una bava leggera mi si formava in bocca. Mi sentivo peggio del solito e il nervosismo dimostrato mi fece buscare molte più legnate. Poi passò e ripresi la triste quotidianità, ma una sera Argo mi suggerì:” Ai visto la fine che ha fatto Tobia, noi ad uno ad uno saremo i prossimi, ma tu che sei così giovane, ricordati del suo consiglio e cerca di scappare fin tanto che puoi. Io ti aiuterò appena potrò."E venne una notte nella quale Arno incominciò a ragliare insistentemente senza dar segno di fermarsi, allora un addetto imprecando rabbioso entrò lasciando il cancello aperto e con un bastone in mano stava dando legnate ad Arno affinchè la smettesse di ragliare, e fu in quell'attimo che decisa ripensando alle parole di Tobia, corsi fuori e accelerando la corsa mi avviai non si sa dove, ma lontano il più possibile verso una immaginata libertà Quanta generosità nel cuore di Argo, il suo sacrificio mi donava la agognata salvezza. I miei zoccoli sembravano alati, correvo, rotolavo sassi terriccio e correvo, mi allontanavo, ma nel contempo incominciavo ad avere la schiuma alla bocca e le forze mi venivano meno, ma continuai fin quando caddi al suolo senza riuscire a pensare e là restai. Nel riaprire gli occhi mi accorsi di essere in un ampio ambiente con recinti e gabbie di animali, che osservavano attorno, era un centro per il soccorso di animali in difficoltà Stavo stesa sulla paglia fresca in un piccolo recinto, accanto a me in ginocchio una graziosa ragazza con un camice bianco. Mi stava accarezzando e mi parlava:” Finalmente ti sei ripresa, piccola Duna, così c'è scritto sulla targhetta della cavezza che porti, ora sono certa che in breve riprenderai le forze e continuerai la tua vita.” A quelle parole il cuore ebbe un tuffo, pensai:” No, appena potrò camminare mi rimanderanno da Marzio e tutto ricomincerà peggio di prima.” La veterinaria, io però non sapevo chi fosse,, se ne accorse e immediatamente mi auscultò il cuore, ma poi si tranquillizzò dicendomi:” Non temere, qui sei al sicuro, mi rendo conto che hai paura, porti sul corpo i segni di colpi e le tue giunture sono infiammate dal peso che probabilmente chi ti possedeva usava caricarti incoscientemente, credo tu sia scappata da qualche fattoria e ti dico che hai fatto la cosa giusta.” Continuando ad accarezzarmi sulla pancia mi sussurrò vicina al mio muso:” Sai, Duna, diventerai mamma, nel tuo pancione porti un puledrino, noi da ora ti seguiremo e ti aiuteremo a farlo nascere come si conviene, poi penseremo a dove sistemarti affinchè tu possa vivere dignitosamente..” Mi baciò il muso e in quel momento m'illusi di avere accanto la mamma perduta. Passarono mesi nei quali vissi tranquillamente brucando nel prato imparando ad obbedire e a comportarmi bene, ma sempre nel rispetto dei miei diritti. Il pancione cresceva, ma io ero ugualmente allegra e correvo briosamente., Quando una notte provai molto male, incominciai a ragliare fortissimo poiché i dolori che sentivo erano nuovi per me, insopportabili, la saliva mi usciva dalla bocca e stesa a terra scalciavo involontariamente, vennero i dottori ad assistermi e controllandomi, in quaranta minuti dalla mia vulva uscì un piccolo puledrino, che mi liberò dai dolori e che io leccai e pulii fino a quando egli pian piano non si mise in piedi. Era un maschietto sano e forte, lo chiamarono Frigo, ed io allora, sfinita ma felice compresi cosa aveva provato mia madre a mettermi al mondo .Gli uomini non ci pensano, ma anche per gli animali la nascita segna un momento elevato che completa il disegno di Dio nella continuazione del creato nella forma più poetica, riempiendo spazi di vita nel quale l'amore materno non e diverso dagli umani..Ora sarei stata io ad insegnare qualche cosa al mio piccolo e la ruota della vita avrebbe avuto in senso per me. Mamma mi insegnava sempre che tutti veniamo al mondo per uno scopo, naturalmente ognuno diverso, a volte difficile da trovare, ma con un po' di pazienza e forza lo si può fare. Noi siamo animali utili all'uomo, egli ha bisogno di noi e noi di lui, se chi ci accosta è mosso da rispetto e sensibilità a lui ci abbandoniamo fiduciosi consolidando una duratura fedeltà, tuttavia molto spesso ciò non avviene. Come aveva ragione mamma, sulla mia pelle l'avevo sperimentata quella considerazione. Ora il mio puledrino cresceva e legato a me con morbida cavezza, lo tenevo sul prato e gli insegnavo ogni cosa giorno per giorno. Oggi so che appena egli sarà svezzato e capace di arrangiarsi da solo assieme verremo mandati in una scuola dove noi asini serviamo a far cavalcare i bambini non autosufficienti che con il nostro contatto migliorano le loro malattie. Non avrei mai sperato di trovare una così bella sistemazione, niente fatiche, niente botte, ma solo ingenue e sincere carezze date da bambini e ragazzi che dalla vita hanno avuto un grande peso da sopportare, ma che sorretti dall'amore di chi li accudisce vivono ugualmente felici. Penso sempre ai miei compagni lasciati ad un infausto destino, ma io non avrei potuto cambiarlo purtroppo. Eh!, se gli uomini sapessero che noi animali capiamo e proviamo le loro stesse emozioni,, solo che non possiamo parlare, ma lo facciamo con gli sguardi e con intonazioni diverse di suoni. Dio ha dato un verso unico ad ognuno di noi per esprimersi, spetta all'uomo che si definisce così intelligente, associare sensazioni a quel tono. Il mio raglio a volte può essere di dolore, di disappunto, di stanchezza, ma se mi si accarezza con gentilezza e rispetto quel raglio ti parla di gratitudine e contentezza e se mi osservi bene vedrai nel mio sguardo la luce dell’ appagamento.


rita iacobone 23/12/2013 12:10 1120

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
La riproduzione, anche parziale, senza l'autorizzazione dell'Autore è punita con le sanzioni previste dagli art. 171 e 171-ter della suddetta Legge.
I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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Nota dell'autore:
«Amo tantissimo gli animali e ho cercato di raccontare ciò che penso essi direbbero veramente a noi uomini se potesero parlare.»

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La Morte beffarda (26/10/2013)

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