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"Un'altra vita" cap. 4

Amore

Sergio passò in farmacia, e mentre attendeva in coda, pensava a come così tante volte la vita lo costringesse ad un ripetersi di gesti. Un tempo c'era stata la malattia della madre, ora la lunga vecchiaia stremata di Giovanni. Quanta soffocata ribellione aveva nutrito in gioventù nei loro confronti, tanta rassegnata adeguatezza da anni ormai sperimentava occupandosi di loro. Il reticolo dei vincoli familiari gli aveva sempre causato grande insofferenza, come una costrizione da cui emanciparsi, ma si rendeva conto del fatto che, forse, c'era riuscito a livello dei pensieri, non certo della vita reale.

Mentre risaliva in auto vide da lontano Augusta, sua sorella. era ferma sul marciapiede, stava parlando con una donna più giovane, con un'espressione sciolta e ridente che lo lasciò del tutto sconcertato: gli sembrava di non aver mai visto sua sorella così, che non fosse nemmeno lei. Nell'espressione rilassata non riconosceva niente della consueta rigidità che gli era tanto familiare. Forse, se andava indietro nella memoria, ma così tanto indietro da non essere più sicuro che fossero fatti immaginati, più che reali, poteva scorgere la vaga sembianza di un'Augusta ragazza, qualche sabato sera, prima di uscire. C'era stato un tempo in cui aveva avuto un ragazzo di fuori, che poi i genitori avevano con decisione escluso dalla sua vita. Sergio era più piccolo, ma ricordava di quel periodo, quelle poche settimane in cui per quanto ne sapeva sua sorella era innamorata, l'impressione di una ragazza ridente e calda, che poi non aveva mai più conosciuto, tanto da dimenticarla completamente. Da anni Sergio non incontrava il cognato, un imprenditore importante della regione, ma aveva sempre visto accanto a lui Augusta perfettamente avvolta dalla sua corazza di acciaio lucido...

Erano le cinque e stava venendo sera, in quell'autunno avanzato le ore di luce si accorciavano velocemente come precipitando verso l'inverno.

Percorse il tragitto fino alla casa dei suoi, come ogni giorno rimproverandosi di non andare a piedi. C'era traffico, un traffico sproporzionato per la città piccola, e lui non si sottraeva alla legge dell'auto, forse perché in qualche modo era l’ ambiente che più riconosceva come la propria casa... tanti libri, quaderni, i suoi fogli di appunti, spesso le prove dei suoi studenti. Non sapeva il perché non avesse mai sentito davvero "casa" quella dei suoi genitori, dove si stava recando in quel momento, e di fatto nemmeno la casa che aveva con Silvia, con i suoi figli. Una volta aveva avuto una storia con una collega, quanti anni prima oramai: lei gli aveva detto che sembrava una tartaruga con il suo guscio di casa, sempre appresso, lui dentro la sua auto. Paola si chiamava, da molto non pensava a lei, e dire che aveva contato qualcosa, per lui.

Suonò il campanello, da suo padre, ma nessuno aperse, e gli tornò in mente che doveva essere arrivata Irene, probabilmente era già da sola con Giovanni e nessuno le aveva spiegato come comportarsi in caso di visite.

Si sentiva a disagio all'idea di comparirle davanti all'improvviso, usando il mazzo di chiavi in suo possesso per entrare, ma si risolse a farlo comunque, augurandosi che almeno Augusta le avesse accennato qualcosa circa la sua esistenza. Non si sarebbe stupito del contrario... il loro era una sorta di tacito patto di non belligeranza, che prevedeva che Augusta in generale facesse visita al padre al mattino, e Sergio al pomeriggio o alla sera. Ma da parte di Augusta a lui era sempre sembrato più un ostentato ignorare la sua esistenza, in cui poteva rientrare anche non accennarne mai agli estranei...

Entrò nella cucina al piano terreno facendo più rumore del necessario, chiedendo ripetutamente "permesso", infine approdando al consueto scenario: il neon che ricordava dai tempi della sua vita lì, la televisione accesa in un angolo, suo padre accasciato sulla sedia a rotelle. Solo Irene cambiava, una nota nuova in una musica tante volte ascoltata, una donna piccola, di circa quarantacinque anni, pensò Sergio, l'aria appena un po' spaesata. Gli tese la mano con un sorriso incerto, il suo italiano era preciso, solo la pronuncia da straniera

- Buonasera, lei deve essere... Sergio? - per fortuna Augusta si era degnata di accennare alla sua esistenza

- Sì, sono Sergio, piacere e benvenuta - il sorriso non si spense sul viso di lei, chissà se per timidezza o qualche altro stato d'animo.

- Gradisce un caffè?

- Volentieri, grazie

Così lei si girò verso i fornelli, armeggiando con caffettiera e barattoli già con una discreta padronanza dell'ambiente, notò Sergio. Era calma, tranquilla, in abiti da casa, aveva un'aria morbida.

Sergio si girò verso suo padre, ebbe un moto di scoraggiamento, non trovava mai spunti per dirgli davvero qualche cosa, seppure fosse certo che suo padre capisse le cosa che gli accadevano intorno.

- Giovanni, tutto bene?

Gli occhi di suo padre erano semichiusi, il capo reclinato su una spalla. Su quel lato la giacca da camera che indossava era più lisa, teneva sempre la testa in quel modo.

Non gli veniva di parlare in quel modo fittizio, ma anche pieno di vita, che tanti usano con gli anziani, anche se non ne hanno risposta. Pensava anche, però che forse era proprio il suo inconscio ad impedirglielo. L'ondata di negatività che sempre per lui promanava dalla persona di suo padre

Intanto anche Irene lo osservava.

“ Forse con lui sono stata fortunata e questo compensa la sopportazione a cui mi dovrò adattare con Augusta”, pensava. Sentiva una sorta di familiarità immediata, fatta di mancanza di imbarazzo, e lei aveva sempre creduto nelle “ prime sensazioni”, come se dentro queste si potesse nascondere più conoscenza che non in molte parole.

Le piaceva il modo di fare semplice di Sergio, leggermente impacciato, anche se in fondo era in casa propria, e certo non doveva essere una persona di tante parole. Aveva l’ aria schiva e riservata, e un modo distratto di essere lì, come fosse poco attento ai dettagli pratici delle cose. Irene sentiva la presenza di lui in quella stanza con un senso di rilassata accoglienza reciproca.

Pensieri scorrevano tra loro e i sorsi di caffè. Fuori scendeva la sera, era singolare che, nonostante fossero in silenzio, non sentisse opportuno accendere la piccola televisione posta in un angolo della stanza, pensò Sergio. Comunque gentilmente le chiese se aveva fatto buon viaggio.

-Grazie, ottimo, i treni erano in perfetto orario, ho potuto anche riposare- rispose lei mentre toglieva le tazzine. Era un po’ incerta sul da farsi, sapeva di dover preparare le poche cose semplici che le erano state indicate per la cena di Giovanni, che andava servito di lì a mezz’ ora, ma le sembrava scortese continuare a voltare le spalle a Sergio mentre preparava ai fornelli. Lui le disse - fai pure tranquillamente cosa devi, se non ti disturbo mi fermo un po’. Passo sempre un po’ di tempo con mio padre, anche se dubito che lui se ne accorga…

Irene arrossì leggermente, dispiaciuta che lui avesse potuto pensare di disturbare, a casa propria, accanto a suo padre e -come potresti disturbare, tuo padre certo è felice che tu sia qui, vero Giovanni?- disse in tono affabile rivolgendosi al vecchio.

Sergio si strinse nelle spalle, non gli sembrò il caso di dirle che non ricordava nemmeno una volta, in tutta la sua vita, in cui avesse avuto la sensazione che suo padre fosse contento di lui. Lei si girò ai fornelli, lui aprì il fascio di libri e giornali che aveva appoggiato sul tavolo, arrivando, e come quasi ogni giorno faceva nel tempo che trascorreva accanto a suo padre, cominciò a leggere: questa volta un editoriale sui rapporti sempre più tesi tra magistratura e presidenza del consiglio, nell’ escalation quotidiana di surreale pantomima che era diventata la vita nel suo paese. Il paese che aveva accolto Irene, pensò: come se, oltre a quei quattro soldi di stipendio, ci fosse davvero qualche cosa di buono e positivo da prendere, qui.

Quando Irene fu pronta con la cena di Giovanni, e si girò per apparecchiargli il piccolo settore di tavola davanti al quale l’ anziano era sistemato, Sergio le sorrise: -Adesso… vi saluto.

Giovanni esalò una specie di gemito, Sergio rassicurò Irene: -Credo che ci stia solo dicendo che ha fame, è sempre stato così, la vista del cibo ha sempre destato il suo interesse…

C’ era una sorta di ironia implicita nelle sue parole, che Irene naturalmente non poteva cogliere, ma non aveva nessuna importanza. Sergio non aveva un reale desiderio che lei conoscesse il tipo di considerazione che aveva lui per Giovanni, era da sempre abituato a gestire i rapporti con i fantasmi del passato, da solo. Anzi trovava quasi divertente quella favola della vecchiaia come sembianza dietro la quale era così facile immaginare nobiltà d’ animo, serietà, coerenza…

Sfiorò la spalla di Giovanni: - Ciao papà, buona notte. E buona notte a te, Irene. Augusta ti avrà lasciato i numeri di telefono per i casi d’ emergenza… non esitare a chiamare, se hai dei dubbi, io abito vicino, a cinque minuti d’ auto. Non sarà facile per te organizzarti in tutto, nei primi giorni. Coraggio…

Lei trovò affettuosa quell’ esortazione, non se l’ aspettava, e sorrise mentre si facevano un cenno di saluto con la mano, sentendo che lo stringersela era già una formalità superata.

Michele Serri 10/06/2013 11:54 1226

Opera pubblicata ai sensi della Legge 22 aprile 1941 n. 633, Capo IV, Sezione II, e sue modificazioni. Ne è vietata qualsiasi riproduzione, totale o parziale, nonché qualsiasi utilizzazione in qualunque forma, senza l'autorizzazione dell'Autore.
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I fatti ed i personaggi narrati in questa opera sono frutto di fantasia e non hanno alcuna relazione con persone o fatti reali.


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